Silvio ha più vite dei gatti. Quei sorrisi forzati nel centrodestra

L’editoriale del direttore di Rete55 Matteo Inzaghi

Altro che gatti. Silvio Berlusconi di vite (politiche) ne ha molte più di sette. E ogni volta che lo danno per spacciato, finito, tramontato e prossimo a qualche lussureggiante ospizio, lui estrae dal cilindro la sua proverbiale tempra, costi quel che costi (in tutti i sensi).
È successo anche a Roma, dove il leader di Forza Italia ha deciso di archiviare Bertolaso e sostenere Alfio Marchini. Una mossa scacchistica che ha scatenato l’ira di Salvini,

il disorientamento di Meloni e il ritrovato entusiasmo dei moderati.
I contestatori si sono subito affrettati a dargli addosso, accusandolo di inciuciare con Renzi e di farsi condizionare da un vecchio volpone come Casini. Ma in realtà gli effetti politici più evidenti della scelta berlusconiana sono sostanzialmente quattro: ha tenuto in vita un centrodestra altrimenti estinto; ne ha rivendicato la leadership; ha riaffermato l’esistenza di un’alternativa al Pd che prescinda dalla Lega salviniana.
E ha relegato quest’ultima alla destra radicale: collocazione che preclude al nuovo Carroccio quella fetta di elettorato moderato cui Salvini auspicava di attingere.
Tre risultati in pochi minuti, giusto il tempo di annunciare la svolta capitolina: niente male per un vecchietto! E infatti la controffensiva leghista non si è fatta attendere.
A Salvini l’idea di essere rinchiuso in un recinto proprio non va, perciò eccolo lanciare l’ipotesi di primarie per la scelta del leader di una coalizione che, a Roma, non esiste già più. Berlusconi risponde stoppando Maroni sulla nomina dell’assessore lombardo alla Sanità e imponendo che la scelta ricada su un esponente azzurro. Alta tensione, insomma.
Fibrillazioni destinate inevitabilmente a ricadere su Milano e Varese, dove i partiti di centrodestra si presentano uniti. Il problema, ovviamente, non riguarda la campagna elettorale, periodo in cui conviene a tutti mostrarsi compatti e sorridenti. Bensì il dopo elezioni, dove le tensioni accumulate rischiano di esplodere dal giorno successivo al voto, sconquassando le eventuali maggioranze. Basti citare la frase al vetriolo sussurrata da un esponente varesino della coalizione: «Il mio sogno è che il nostro candidato vinca e che Forza Italia vada male. Dopodiché faremo i conti».