Varese terra di sperimentazioni artistiche. Non solo Liberty: ricordiamoci del fascismo

La Città Giardino reca gli esempi dell’architettura della Belle Époque. Ma fu anche trasformata dal regime

Gli alberghi, le ville, le fabbriche. La produzione edilizia a Varese a partire dal primo decennio del Novecento e che continuerà fino quasi agli anni Trenta del secolo scorso, ben oltre rispetto al periodo storico di riferimento per lo stile cosiddetto Liberty, una delle diverse declinazioni espressive della corrente artistica dell’Art Nouveau, lascia alla città numerose e interessanti architetture di qualità, dal punto di vista compositivo, tipologico e decorativo. Si può ben asserire che Il Grand Hotel al Campo dei Fiori, di cui oggi si celebra con una mostra il rinnovato interesse per il suo progettista Giuseppe Sommaruga considerato fra i massimi esponenti dello stile Liberty floreale in Italia, è probabilmente la realizzazione più conosciuta e indagata nella nostra provincia.

Un protagonista del liberty ha l’obiettivo, come dichiara il ben nutrito Comitato organizzatore, di promuovere nuovi studi e nuove interpretazioni critiche intorno alla personalità dell’architetto milanese nell’anno centenario dalla suo morte, facendo piena luce su aspetti peculiari della sua cifra stilistica ricca di slanci e ricerche artistiche talvolta semplicisticamente ricondotte all’adesione all’egemonia del gusto Liberty floreale che invase l’Europa di quegli anni.

Il fascino fin de siecle-primi Novecento che si veste di modernità con le curve morbide e avvolgenti del Liberty (che poi si concluderanno nell’art Deco) che esprimono eleganza e senso ritmico della composizione non senza qualche bizzarra soluzione decorativa, ha finito tuttavia per offuscare l’interesse e l’apprezzamento per le opere di architettura e urbanistica che hanno interessato la città negli anni del fascismo, in un clima di grande fervore per questo campo, che grazie allo strumento del piano regolatore e con la realizzazione di numerose opere pubbliche hanno fortemente contribuito a definire il carattere del nuovo capoluogo di provincia.

Ma, se i buoni tentativi negli ultimi anni non sono mancati, è anche vero che ad oggi poco o niente è stato attuato per promuovere la conoscenza di un altrettanto ricco patrimonio architettonico che porta anche a Varese i simboli di quello stile retorico di una architettura a passo romano di parata, fortemente ideologizzata, fatta di Torri Littorie, Case del Fascio, Case delle Corporazioni che hanno segnato la storia recente dello spazio interno della città.

Ad eccezione dell’interesse per la piazza Monte Grappa, anche recentemente messa in relazione con la piazza della Vittoria che Marcello Piacentini firma per Brescia, o l’interesse affatto castigato per la fallica piscina di Pietro Porcinai a villa Milyus, non si conosce molto delle pregevolissime realizzazioni di altri grandi architetti che hanno lavorato per la città, anche se molte sono quotidianamente sotto gli occhi di tutti.

Ad esempio l’architetto Vittorio Morpurgo, artefice del nuovo piano regolatore e di sviluppo edilizio della città e di numerosi edifici, fra i quali la Casa del Balilla in via Copelli. L’edificio, che fino a pochi anni fa era occupato dalla Polizia Municipale, era concepito per l’educazione sportiva dei giovani, progettato secondo una articolazione degli ambienti tipica delle strutture di piccole dimensioni del Partito nazionale Fascista.

Un corpo di fabbrica a due piani che comprende un grande salone con funzioni multiple: per le riunioni, gli esercizi e i momenti ludici dei giovani. Una biblioteca, una sala per l’esercizio della scherma. Al primo piano gli uffici e altri ambienti minori per studio, residenza, usi vari e i bagni. Austero e severo nelle linee architettoniche, affacciato su uno spazio che prende le sembianze quasi di una piazza, Morpurgo i motivi decorativi del portale, della loggia interna che fa da coronamento allo scalone principale,

e soprattutto i dipinti di Giulio Rosso, assumono rilevanza particolare. Il mio interesse è soprattutto per i dipinti, per deformazione professionale. Chissà se sono ancora esistenti nell’abside al piano terra, al di sotto di mani diverse di imbiancature o sono stati distrutti. Giulio Rosso è un pittore, decoratore e illustratore toscano, nato a Firenze nel 1897, che nel ventennio fascista conquista una certa notorietà soprattutto partecipando alla decorazione di edifici pubblici in molte città italiane: affresca con abilità il Teatro Savoia a Firenze, villa Piacentini a Genzano, Piazzale dell’Impero al Foro Italico, Stazione Ostiense, e opere varie all’EUR. Nella Casa del Balilla a Varese firma un’opera pittorica fantasiosa e dallo spiccato senso grafico ispirata alle attività che li si svolgevano.