Ilva di Taranto, finiti i soldi «Niente svendita ai privati»

Così com’è l’Ilva non si può vendere a privati. Questo, in sintesi, quello che il commissario straordinario Piero Gnudi ha detto ieri ai deputati delle commissioni Attività produttive e Ambiente della Camera

Poche ore prima, in mattinata, il premier Matteo Renzi aveva giocato d’anticipo: «Non possiamo abbandonare i lavoratori o veder svendere Ilva al primo privato che vuole approfittarne», ha detto all’assemblea del Pd, annunciando per il 24 dicembre l’arrivo in Consiglio dei ministri di un nuovo decreto salva Ilva. Un decreto che è chiamato a sciogliere, con un intervento pubblico, l’aggrovigliata matassa del caso Ilva.

«Nessuno comprerà mai un’azienda sotto sequestro. E oggi l’Ilva ha il 75% degli impianti sequestrati», ha detto Gnudi. E non solo: tutti i privati interessati a rilevare il gruppo Riva, hanno indietreggiato di fronte alle rigorose prescrizioni imposte dall’Aia a tutela dell’ambiente e della salute «proponendo delle modifiche». Insomma, un fallimento, che ha portato Gnudi a dire che considera esaurito il suo compito con l’arrivo, ormai certo, del passaggio dell’Ilva all’amministrazione straordinaria. Nei suoi sei mesi di gestione Gnudi ha avviato diverse trattative per poi restare con due soli aspiranti, ArcelorMittal-Marcegaglia e Arvedi, quest’ultimo però rimasto a livello di manifestazione di interesse. Dopo 18 mesi di gestione commissariale l’Ilva si trova oggi con le casse vuote e le forniture di gas (erogate dall’Eni in regime di default) a rischio chiusura per il 31 dicembre.

Su quest’ultimo aspetto qualche deputato ha posto il problema di un possibile conflitto di interessi in capo alla presidente di Eni e vice presidente del gruppo Marcegaglia, Emma Marcegaglia. Lo stop delle forniture di gas «sarebbe una catastrofe», ha detto Piero Gnudi, che però nel frattempo ha preparato i piani per spegnere i forni pur negando che le operazioni siano già iniziate. In un comunicato l’Eni ha poi chiarito che l’Ilva era stata avvisata formalmente del rischio già a fine novembre e che comunque il regime di fornitura in default iniziato il primo ottobre è una fornitura che – per il suo regime regolatorio – può durare solo per novanta giorni.

In queste condizioni l’intervento pubblico sembra oggi non essere più una scelta, ma un obbligo, per tenere in vita un gruppo «capace di grande efficienza», spiega Gnudi, tanto che facilmente potrebbe arrivare alla produzione di 20 mila tonnellate di acciaio al giorno, soddisfare una domanda, portare il bilancio in parità, completare un piano ambientale di eccellenza che «sarebbe il benchmark in Europa per il settore», ha sottolineato il subcommissario Corrado Carruba.