Per competere c’è bisogno di energia, ma la bolletta…

Italia ancora maglia nera per i costi (+35% rispetto alla media Ue). La colpa è del fisco. La soluzione per le imprese? Tarocco (Spi Power): «Bisogna puntare sull’efficienza»

– Il settore energetico di un Paese è determinante nella definizione della sua competitività e del suo sviluppo economico sostenibile: scarsità di fonti, prezzi e, soprattutto, tassazione elevata non giocano a favore dei suoi consumatori.
Siano essi famiglie, imprese o potenziali investitori nelle attività della nazione. Ebbene: in Italia abbiamo una forte dipendenza dai mercati energetici esteri, l’energia che produciamo è principalmente da tradizionale fonte termoelettrica, e, ormai lo sappiamo tutti, tra la più cara d’Europa.
Entrando un po’ nel dettaglio, secondo l’Istat il fabbisogno elettrico complessivo in Italia nel 2013 è stato soddisfatto, per l’86,8% dalla produzione nazionale e, per la quota rimanente, con il saldo tra le importazioni e le esportazioni.

Nella produzione elettrica l’impiego delle fonti rinnovabili, obiettivo prioritario per tutti i Paesi membri dell’Unione Europea, ha avuto un incremento (+21,5%) più sostenuto rispetto alle fonti tradizionali che, comunque, risultano ancora predominanti nella generazione elettrica.
In particolare, tra queste, si conferma il primato del gas naturale (57,8%) come combustibile maggiormente utilizzato per la produzione di energia elettrica.
E il punto dolente restano i costi: nonostante il processo di liberalizzazione, l’Italia è ancora tra i paesi europei che registra i prezzi dell’energia

più elevati del continente.
Inesorabile il confronto del costo italiano, tributi inclusi, per l’elettricità rispetto a quello sostenuto dai nostri principali competitor: in media le piccole imprese italiane oggi pagano l’energia il 35,5% in più rispetto alla media europea. E se consideriamo che, mediamente, la spesa energetica pesa circa il 31% rispetto al costo del lavoro, allora si capisce perché il tema resti una priorità.
Un punto sul quale le richieste di intervento si ripetono, perché, al di là dei confronti europei «ciò che più colpisce è il quadro dei dati relativi al carico fiscale e alle componenti A e Uc, ossia degli oneri sopportati nella bolletta dell’energia elettrica dai consumatori nell’interesse generale» spiega Fabio Tarocco, di Spi Power, ovvero tutti quei balzelli che vengono aggiunti al prezzo finale per finanziare una pluralità di cose, come gli incentivi alle fonti rinnovabili, o, altro esempio, per lo smantellamento delle centrali nucleari, o, ancora, per le attività di ricerca e sviluppo.
«Ebbene – spiega Tarocco – queste componenti si ritagliano la fetta più grande dei costi sostenuti dalle aziende nel pagamento delle bollette».
Nonostante il costo puro dell’energia, la materia prima insomma, che è l’unica voce negoziabile, sia notevolmente sceso negli ultimi quattro anni ormai, sul prezzo finale, pesa meno del 40%.
Mentre più del 60% è tariffa (componenti A e Uc, oneri di dispacciamento, costi di trasporto e tasse): una proporzione che si è ampiamente ribaltata negli ultimi anni.

E dunque, di fronte allora ad una situazione ormai pesantemente ingessata, sulla quale resta poco spazio per la contrattazione, «diventa fondamentale puntare sull’efficienza per ottenere risparmi sul fronte del consumo» sottolinea Tarocco «perché nel momento in cui si riesce a far poco sul prezzo occorre investire sull’efficienza energetica per ridurre la domanda».
Sono molte le leve sulle quali è possibile agire «che spesso vengono trascurate. Eppure anche con piccoli investimenti e budget limitati si può fare molto».