Gesuita e prete-operaio «Il Vangelo in fabbrica»

Padre Serafino è gesuita come papa Francesco e operaio come molti altri. Attualmente residente all’Aloisianum, l’istituto universitario di studi filosofici dei Gesuiti nato a Gallarate nel 1946; è originario di Cotignola, vicino a Ravenna.

Padre Sarafino, conosciuto da molti solo per nome, ha 71 anni e una vita singolare come “prete-operaio” a Follonica e Livorno. «Io sono nato e vissuto in un ambiente cristiano – racconta il gesuita – Fin da bambino ho sentito la vocazione, entrando quindi in seminario a undici anni. Ai miei tempi, però, vedevo i preti staccati dagli altri, mentre io credevo nel messaggio cristiano che dice “io vengo”, e non “venite da me”».

«Con loro e come loro»

Padrefu ordinato sacerdote nel 1974, e per un anno fu insegnante.

«Riconobbi presto il dono che avevo ricevuto, quello della fede, e per questo decisi di farmi prete. Mi resi però conto di che vita veniva vissuta nelle città, e mi resi conto che volevo vivere come loro e con loro come fece Cristo, per questo scelsi la condizione di prete operaio».

Serafino, come viene chiamato dai suoi colleghi senza l’appellativo di “padre”, dal 1975 lavorò a Follonica, nella squadra di manutenzione di una cooperativa edile, poi a Livorno come tecnico per impianti elettrici industriali.

«La mia decisione è stata una scelta di vita. La domanda fondamentale per un prete è sempre la stessa: per chi è venuto Cristo? Nel mio tempo gli ultimi erano gli operai, e per poter essere davvero evangelizzatore, ho voluto farmi accettare da quelle persone che vedevano la Chiesa ancora troppo distante. Il mio apostolato è stato nel luogo di lavoro. Dopotutto è anche il messaggio di Papa Francesco: uscire fra la gente». Descrive con fatica i primi anni, quelli in cui si è fatto conoscere e accettare nella cooperativa di Follonica, che era legata al Partito Comunista.

«Per quanto all’inizio è stato difficile inserirmi, i miei colleghi mi volevano bene. Alcuni uomini di chiesa non mi accettavano però, perché non ero “un clericale”, perché mi chiamavano per nome e mi davano del tu. I miei superiori erano contenti del mio operato, ovviamente non avevo tutti contro, ma si può dire che la mia evangelizzazione è avvenuta anche all’interno della Chiesa di allora».

Padre Serafino ha vissuto mettendo in pratica il Vangelo in cui crede in uno degli ambienti allora più lontani dalla Chiesa istituzionale. È andato in pensione nel 2007, con «tre ditte che mi avevano chiesto di continuare a lavorare per loro». Racconta che gli è capitato di lavorare nelle festività per permettere ai colleghi di stare a casa in famiglia, cercando di spiegare sempre il centro della sua fede, ripulendola da ciò che era tradizione ma non essenza.

«Una Chiesa più aperta»

«Credo di aver agito nel giusto. Ricordo che una volta, dopo un grave incidente, in ospedale non venne quasi nessuno di un certo mondo a me vicino, mentre i miei compagni di lavoro erano sempre nella mia stanza. Ora le cose sono diverse, la Chiesa diventa sempre più aperta, e anche il Papa insiste su questo. I miei tempi erano diversi».

Grande amico del cardinale , parlò spesso con lui delle scelte compiute. «Lui era qui con noi, all’Aloisianum, e quando ne parlavamo anche lui concordava su un’evangelizzazione che è andare e non attendere l’arrivo. Gesù non invitava a casa sua, ma al contrario andava per le piazze, visitava le case. Io ho solo seguito l’insegnamento che Cristo ci ha impartito».n