Il dialogo diventa pace con le religioni in marcia

Decanato, Caritas, Acli, associazioni ed esponenti di fedi diversi. In duemila insieme a Gallarate: «Mai avere paura della convivenza»

In marcia per la pace: da Gallarate s’alza il messaggio d’unità interreligiosa.
In duemila ieri sera hanno voluto prendere parte alla manifestazione organizzata da Decanato – con le sue 38 parrocchie – Caritas, Acli, associazioni cittadine e rappresentanti di diverse religioni e, in particolare, della comunità islamica. Un progetto che da tempo era stato pensato e organizzato, ben prima dei tragici eventi degli ultimi giorni, ma che ora più che mai assume un valore ancora più profondo.

Se, infatti, l’iniziativa è stata voluta per il clima di paura e intolleranza che si respirava, dopo l’assalto terroristico nella sede del settimanale satirico francese “Charlie Hebdo” e l’attacco degli integralisti nella città nigeriana di Baga, i temi di pace, integrazione e convivenza civile diventano di stringente attualità.
«La nostra comunità islamica – spiega , che rappresenta i partecipanti d’origine pakistana – ha deciso di prendere parte a questa marcia interreligiosa per la pace convinta della sua importanza,

soprattutto in questo periodo segnato da conflitti e violenze in tante parti del mondo».
Si ritiene utile testimoniare che «le religioni possono e devono essere uno strumento di dialogo tra i popoli. Purtroppo stiamo assistendo a tanti soprusi e omicidi compiuti in nome della religione». L’impegno è per l’integrazione. «Come associazione pakistana varesina cerchiamo di portare la voce della pace e dell’integrazione nel Paese del quale ormai ci sentiamo cittadini. Abbiamo deciso di partecipare con fratelli cristiani e di altre religioni per avere la possibilità di dare voce a quell’unione di cui oggi abbiamo bisogno».
E chiede dicendo: «Io non ho avuto paura a partecipare. Con la pace non dobbiamo averne»., della comunità marocchina ricorda che la marcia è stata progettata «per dimostrare che ci sono persone di buona volontà che hanno voglia di vivere e convivere insieme, anche se hanno religioni diverse e idee diverse, per mostrare che non ci sono differenze tra le persone».
A proposito degli attentati d’oltralpe: «Poi è venuta questa schifezza dei giorni scorsi. Per quello che è successo mi sono sentito obbligato ancor di più ad partecipare».

Per dimostrare la propria solidarietà aggiunge:«Io adesso sono francese. Quello che è successo non è una cosa che c’entra con la religione. Sono persone che non appartengono a noi come musulmani e non all’islam».
È il pregiudizio, secondo Hadid, a creare «problemi tra le persone. Io non posso vedere un italiano e associarlo subito all’idea di mafia. Se sbaglia un prete, non condanno i cristiani. Allo stesso modo un musulmano non è un terrorista. Anche se dicono che fanno parte dell’islam, non è colpa nostra. Le persone intelligenti non giudicano a priori pensano due volte».E allora arriva l’appello alle istituzioni. «Domando loro di fare leggi severe per queste persone, in modo da difendere anche noi. Anch’io ho una famiglia e vado a fare la spesa al supermercato. Se succede qualcosa, succede anche a noi. Vogliamo una sicurezza, come gli italiani, perchè viviamo come loro».
«Quello che è successo in Francia, non ci ha fatto cambiare idea» racconta , rappresentante del Bangladesh.
«Non ci spaventiamo, quelli erano terroristi. Abbiamo deciso di partecipare perchè ogni giorno le associazioni e le istituzioni coinvolte ci danno una mano e noi facciamo lo stesso».

«Noi come popolo del Senegal siamo molto impegnati per la pace – chiarisce – abbiamo una tradizione di scambio culturale con altri popoli e sappiamo che senza la pace non si può fare niente».
«È la base di tutto: della vita, dello sviluppo e del progresso per tutti coloro che si impegnano per costruire la pace e il suo spirito».
A questa iniziativa «avremmo partecipato anche solo in quattro perchè è importantissimo che le comunità si incontrino e s’impegnino per vivere in armonia – prosegue – Come extracomunitari siamo un po’ cittadini del mondo e parte del Paese in cui abitiamo, siamo cittadinanza attiva pronta a prendersi le proprie responsabilità».
In Senegal «per 40 anni abbiamo avuto un presidente cattolico con il 95% della popolazione musulmana e perciò sappiamo che è possibile vivere insieme. Per noi islam significa pace».