L’insulto su Facebook ora costa carissimo

Tempi molto duri per chi utilizza i nuovi mezzi di comunicazione quali Facebook, facendo uso di espressioni a volte fuori luogo e “sopra le righe”.

Secondo una recente decisione della Corte Suprema, per integrare il reato di diffamazione, anche per mezzo di internet, è sufficiente che il soggetto la cui reputazione è stata lesa, sia individuabile da un numero limitato di persone indipendentemente dell’indicazione specifica del nome, dunque, senza nominare il diretto interessato.

Nel caso preso in esame dalla Cassazione, un maresciallo capo della Guardia di Finanza pubblicava sul proprio profilo Facebook la frase «attualmente defenestrato a causa dell’arrivo di un collega sommamente raccomandato e leccaculo ma me ne fotto, per vendetta.. » offendendo in tal modo la reputazione del maresciallo designato in sua sostituzione al comando della compagnia.

Tanto è bastato per confermare il principio secondo cui sui social network non è consentito insultare liberamente. A nulla vale quanto sostenuto dalla Corte di primo grado circa il fatto che l’imputato non avesse indicato il nome del suo successore, né la funzione di comando in cui era stato sostituito, né alcun riferimento cronologico, poiché l’utilizzo dell’avverbio “attualmente” si riferiva al presente, e la qualificazione di “collega” legata al termine “defenestrazione” non lasciava dubbi circa l’identificazione del soggetto diffamato.

Infatti, al fine di integrare il reato di diffamazione, in particolare dell’elemento soggettivo, è sufficiente la consapevolezza di pronunciare una frase lesiva dell’altrui reputazione e la volontà che la frase venga a conoscenza di più persone, anche soltanto due. Il problema sta nel fatto che tramite Facebook, chiunque, collega o conoscente dell’imputato, avrebbe potuto individuare la persona offesa. Dato che il maresciallo aveva impostato il proprio profilo Facebook come pubblico, chiunque avrebbe potuto leggere ciò che era scritto: in pratica, il social network è equiparato a un mezzo di comunicazione di massa.

L’ultima evoluzione del diritto sulle tecnologie moderne potrebbe costituire un deterrente efficace per tutti quelli che su facebook non si astengono dal commentare in modo “impulsivo” e alcune volte gravemente offensivo e lesivo, l’immagine e l’onorabilità di una persona.

Avv. Nicola Giannantoni

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