Il messaggio più attuale alla “prima” della Scala

In questa società dominata dalle discordanze niente di più sublime della Prima della Scala, l’evento più atteso dell’anno nella metropoli lombarda nonché dagli appassionati di lirica di tutto il mondo.

Negli ori e la porpora del teatro del Piermarini l’armonìa regnava sovrana grazie ad un grande Daniel Barenboim che con Fidelio ha detto addio al pubblico milanese sommerso da scroscianti applausi. Anche in questa nostra epoca come ai suoi inizi, l’otto dicembre scaligero scandisce il tempo, anzi i tempi. Fedele alla sua ben nota nomea di subliminale ago della bilancia per quel che ne è del clima sociale e politico, scegliendo l’unica opera composta dal grande genio di Beethoven, il tempio della musica meneghino ha rispecchiato sul palcoscenico la realtà che stiamo vivendo.

La scenografia minimalista caratterizzata da una cura esasperata del dettaglio firmata dall’inglese Deborah Warner è stata, con la sua cupezza, la perfetta cornice della storia torturata di Florestano, prigioniero e vittima di tirannici soprusi da parte di un corrotto personaggio delle alte sfere politiche ambientata nella Spagna del ‘700. Un’opera illuminista, innovativa, vedi provocatoria per l’epoca, suggerita dall’allora recente Rivoluzione francese, un inno alla libertà individuale e di pensiero ove la donna fa la parte del leone.

Un messaggio quanto mai chiaroveggente, quasi a voler rammentare che forse, davvero nulla avviene per caso. Evidente che la scelta del Fidelio per la “prima” non datava certo di ieri ma, come spesso accade, la sincronicità della cruda realtà ha superato la finzione, i fattacci di Roma docent.

Una serata austera anche nel foyer con poco sfoggio di mises originali, a parte la solita Marini versione Circo Barnum. Colore dominante il nero in tutte le sue declinazioni rotto solo da un’elegantissima Christine Lagarde di grigio vestita. Inquietante presenza evocativa, quella di colei che detiene il cordone della borsa europea, quasi a volerci alitare il fatidico “ricordati che devi morire”, se non di spada quanto meno di fame, vista la crisi economica. E, sempre pensando all’Europa, un dettaglio della regia mi ha personalmente intrigato, la presenza di due pastori tedeschi che si aggiravano sulla scena…che sia anche questo un messaggio, nemmeno poi tanto subliminale?