VARESE All’indomani della gara con il Pontisola, Giulio Ebagua ha voglia di dimenticare in fretta la contestazione dei tifosi che ha provocato la sua reazione (dito medio alzato).
Ebagua, le è costato chiedere scusa?
Come cattolico e come professionista, no. Dal punto di vista umano, sì. Ma era giusto farlo per la gente che era allo stadio, soprattutto per i bambini.
Pensa che c’entri il razzismo?
No: al massimo può essere un appiglio, un pretesto di chi non ha motivi validi per contestare.
Perché continuano a beccarla?
Me lo sto chiedendo anch’io. Credo che sia stato il mio passaggio al Torino dell’anno scorso a scatenarmi contro questi tifosi. Si vede che qualcuno era innamorato di me e si è sentito tradito dalla mia partenza.
Le rimproverano ancora le dichiarazioni del post Benevento.
Ero stato espulso e sapevo che avrei preso tre giornate di squalifica. La mia stagione era finita e volevo salutare i tifosi, ma le mie dichiarazioni furono mal interpretate. Non me ne volevo andare e non parlai mai dell’Udinese.
Dopo il coro «Di Ebagua me ne frego perché Neto ci fa gol», domenica sera ha subito insulti ben più pesanti e non ce l’ha fatta a restare calmo.
Sono rammaricato per aver reagito, e lo dico da cattolico. Il Signore mi ha messo alla prova, io ho reagito male e chiedo scusa. Quanto a quel coro, è simpatico: a volte lo canticchio anch’io…
Cosa pensa di questa situazione?
In Italia c’è un’anomalia rispetto agli altri Paesi europei: quella che fa credere ai tifosi di poter comandare. Come professionista non ho nessun problema a prendermi i loro insulti, ma non accetto l’idea che vogliano dettare legge a tutti i costi. E per questo sono pronto ad alzare la voce.
Che cosa si aspetta ora?
Rispetto, come quello che io porto per la maglia biancorossa.
Resterà a Varese?
Questa città è il luogo ideale per fare calcio. A parte questo episodio di domenica, dettato dalla frustrazione di qualcuno, è la piazza più tranquilla in cui sono stato. E qui a Varese voglio rilanciarmi.
e.marletta
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