Miracolo a Varese:da ultimi in classifica alla C1

di Andrea Confalonieri
Il miracolo a Varese è compiuto. Una squadra rinata cinque anni fa sui campetti di periferia come Parabiago e Trino Vercellese, spesso senza lampioni né acqua calda, da oggi torna a sbirciare da vicino la sua cima, che da cent’anni fa l’occhiolino sul Campo dei Fiori: la serie B.
Ha saputo soffrire, ha saputo aspettare, ha saputo sporcarsi le mani dimenticando il suo lignaggio e trasformando in una finale anche le sfide con il San Donato Milanese o l’Orbassano,

posti dove il pallone – se rotola – lo fa in mezzo alla strada con i bambini che palleggiano sui muri dei casermoni popolari. Ha saputo danzare sul ciglio della morte, trasformando possibili disfatte in clamorosi trionfi.
Sia in campo, dove quest’anno era finita ultimissima prima dell’avvento di "Sannino santo subito" e dei diciotto risultati utili consecutivi (roba da Milan degli Invincibili o da scudetto record interista col Trap) che l’hanno issata al primo posto. Sia nello spogliatoio, che è sempre uscito più forte dopo ogni tradimento, grazie alla barra dritta e ai valori antichi dettati da Luca Sogliano. Tradimenti come quello di Maiolo, scappato a firmare per il Como mentre Luca lo aspettava al campo per gli allenamenti. O di Savoldi, fuggito prima di un derby vita o morte a Legnano perché non accettava le critiche di bella vita della curva.
Ma anche nelle stanze dei bottoni il Varese ha saputo giocare soffrendo, resistendo e aspettando all’infinito la chimera del nuovo stadio.
Ha saputo perdere e sbagliare, ma solo nelle cose e nelle partite più facili, riprovandoci ogni volta più forte e dominando ogni situazione impossibile o senza ritorno. Ha saputo inventare il modo di andare avanti ogni volta che si è trovato senza qualcosa, mancanze che altrove avrebbero steso un toro: lo sponsor, lo stadio, gli imprenditori, i politici (a parte lo stoico Giorgetti), la stampa (in Eccellenza finiva nelle brevi dietro Fulgor Cardano e Gavirate, ma «La Provincia» non esisteva ancora). Ha saputo sacrificare fior di giocatori, dai "cristoni" Shakpoke e Sergi agli assi fatti in casa Luoni e Gabionetta, fior di allenatori come Mangia e Carmignani, perfino un padre spirituale e un "mostro" del mercato come Ricky Sogliano, compattandosi in un nocciolo d’anima che è cresciuto fino a inglobare tutto il Varese. E questo nocciolo inviolabile e indistruttibile ha un nome e un cognome: Luca Sogliano, l’unico – insieme a 1500 fedelissimi – che c’era il primo giorno e c’è anche oggi.
Una volta, guardando in faccia uno a uno i cinquecento spettatori dell’Eccellenza, Luca sibilò come un sicario: diventeranno cinquemila. Con la stessa tempra, dopo uno scontro fisico fuori dallo stadio, rientrò negli spogliatoi tuonando: «Salverò il Varese e un giorno porterò quelle stesse persone a urlare di gioia per qualcosa di grande».
Stesso sangue biancorosso d’un Cumenda o d’un Claudio Milanese, ha saputo inventarsi un modo nuovo di fare calcio e vincere scovando quelli come Grossi, Del Sante, Lepore, Camisa, Moreau, Danucci, Milanese, che oggi sembrano fenomeni, nella polvere dei campetti, nelle Primavera, nel Viareggio, nei rifiuti delle grandi società. A ognuno di loro ha detto: «Seguimi e ti riscatterai. Seguimi e diventerai un giocatore e un uomo migliore. Seguimi e metti davanti a te stesso e a tutto una sola cosa: la maglia del Varese». Per riuscirci, ha però dovuto dare l’esempio. Mettendo questa magnifica ossessione biancorossa davanti ai suoi padri come Ricky e Gedeone o ai suoi amici come Lorenzini. Ma loro hanno capito.
Se a monte del miracolo a Varese c’è Luca, a valle – dove confluisce tutto l’entusiasmo dell’esercito biancorosso – c’è Beppe Sannino. Se n’era andato cinque anni e mezzo fa con un pugnale nella schiena scagliato dai Turri, completa questo suo ritorno trionfale con un popolo adorante ai suoi piedi: il minimo che si meritasse. Questa folla in delirio che lo inghiotte e lo divora, fondendosi in lui e facendolo piangere come un bambino, non potrà forse cambiare il destino e il motto della sua vita: «Quando pensi che sia finita, ricomincia la salita».
Ma in questo sbarco del Varese sulla luna, dove l’odore della terra affianca la grandeur del basket (quella promozione era dovuta, questa era impossibile), Beppe Sannino è il nostro Neil Armstrong: il primo piede lassù ce lo ha messo lui, e noi qua sotto ad applaudire.
Andrea Confalonieri

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