Alafaci, l’orgoglio della fatica: «Dò tutto per Nizzolo: vincerà»

Giro - Il varesino lancia lo sprint all’amico e compagno, di nuovo secondo...

Il ciclismo è fatto anche dai gregari, da quei ragazzi che lavorano nell’ombra per un capitano e non godono quasi mai delle luci della ribalta. Quei corridori che prendono il vento in faccia in testa al gruppo per chiudere una fuga, che scortano il velocista nelle posizioni di testa facendo a spallate con tutto il gruppo, che tornano in ammiraglia e risalgono posizioni distribuendo borracce ai compagni. Sono gli operai del ciclismo, che spesso lasciano sulla strada ogni singola goccia di sudore possibile e portano a casa al massimo una pacca sulla spalla, oltre alla gioia di veder vincere un compagno. Ragazzi come Bennati, Quinziato, Conti, Agnoli, Tiralongo, o semplicemente come Eugenio Alafaci, che è lo scudiero di Giacomo Nizzolo, suo compagno alla Trek e grande amico dentro e fuori dal ciclismo.

Nizzolo ha collezionato una serie incredibile di piazzamenti nella sua carriera alla corsa rosa: ieri, per l’ennesima volta, ci è andato vicino chiudendo secondo dietro Kluge. Al termine della tappa, Eugenio Alafaci ha postato su Facebook una foto con un breve commento: «Ho dato il 110% per il mio compagno e migliore amico. E questa in foto è la mia reazione dopo la linea d’arrivo, quando ho scoperto che Giacomo aveva vinto lo sprint per il secondo posto.

Ci sono rimasto male perché lui merita davvero questa vittoria, ma non ci arrendiamo e ci riproveremo».
Questo è lo spirito, che Eugenio ci riassume al telefono un paio d’ore dopo la tappa: «Mi sento bene, pensavo che alla terza settimana la gamba fosse molto meno tonica invece sto andando forte. Così come sta bene anche Giacomo Nizzolo, purtroppo però questa vittoria non vuole arrivare e sinceramente la vogliamo con tutte le nostre forze. Questa azione di Pozzato e di Kluge nel finale ci ha tagliato le gambe».

L’ultima occasione è quella del gran finale di Torino: «Salveremo la pelle nelle ultime tappe di montagna prima di dare l’assalto a questo traguardo di Torino. La vittoria impreziosirebbe un Giro che finora comunque è positivo, anche perché siamo vicini alla conquista della seconda maglia rossa in due anni. Però un successo di tappa è un’altra cosa».
Nei giorni scorsi, in barba a quei corridori che si ritirano per futili motivi, Eugenio ha riscritto un capitolo di ciò che significhi l’attaccamento al Giro: «Ho avuto febbre alta e vomito nei giorni precedenti ai tapponi dolomitici, tanto che il dottore non voleva farmi partire. Invece sono riuscito a tener duro nelle tappe più toste e a recuperare al meglio, ora infatti sto molto bene. Per quanto riguarda l’attaccamento ad una corsa, ho sempre cercato di onorare tutte le gare a cui ho preso parte, perché non è mai bello abbandonare a metà. Poi non sta a me giudicare le scelte di altri colleghi, mi piace pensare che abbiano avuto le loro giuste motivazioni».
Motivazioni che durante questo Giro Eugenio ha trovato sempre a bordo strada: «Sì, devo ringraziare i miei genitori, mio fratello e mia sorella perché mi sostengono dalla prima settimana. I miei genitori hanno seguito ogni tappa dal vivo da Catanzaro fino in Toscana e sono venuti anche a Corvara, nel giorno più difficile. Sono felice perché li ho visti allegri ogni giorno al mio seguito: non c’è cosa più bella».