«Basta nascondersi». Varese ko, Baiano urla contro la società

Altra sconfitta a Casale e biancorossi terzi a -4 dalla vetta. In conferenza stampa il mister si sfoga. Così il tecnico sulla grave crisi societaria: «Primi un mese fa, ora grossi problemi. Così la squadra sparisce»

«Ci sono problemi, grossi problemi. E non mi voglio nascondere più». Baiano picchia i pugni in sala stampa.

Lo fa alla terza domanda, dopo aver provato a parlare di calcio nelle prime due. Lo fa, dopo un mese (e più) in cui è solo, lui e la squadra, abbandonati da chi pretende di esserci ma non c’è.

Lo fa, dopo essere stato attaccato (anche giustamente: scelte tecniche discutibili) dai tifosi, dopo aver visto il suo Varese perdere anche a Casale dopo essere caduto contro la Caronnese 7 giorni prima.

Lo fa, prendendo una posizione netta contro lo stallo societario, con i quadri dirigenziali divisi in due fazioni (di cui una continua a metterci la faccia) che comunicano solo tramite conferenze, comunicati stampa e avvocati.

Lo fa, dichiarando a chiare lettere quello che è sotto il naso di tutti: come si fa a pensare a giocare a calcio in una situazione del genere?

E lo fa da uomo vero, di calcio e di vita, denunciando, lui solo, l’abbandono e la sparizione della società; dimostrandosi uomo maiuscolo in mezzo a piccoli uomini; difendendo la squadra mettendo la sua stessa testa sul ceppo.

«Non voglio creare alibi a questa squadra, chi mi conosce lo sa. Ci sono dei problemi. Non ci nascondiamo: questa squadra era prima in classifica fino a un mese fa – così attacca Baiano, alzando la voce e picchiando i pugni sul tavolo della sala stampa dello stadio di Casale, facendo evidente riferimento alle questioni societarie – Vogliamo fingere? Fingiamo. Vengo qui e dico che problemi non ci sono. E invece i problemi ci sono, grossi problemi.

E non mi voglio nascondere più. Tutta la settimana si parla di questa situazione, e poi si vogliono vincere le partite la domenica? Questa è la realtà. Questa è la realtà. Dobbiamo fare il massimo? Facciamo il massimo. I ragazzi fanno il massimo – alza ancora la voce, difendendo i suoi – Poi sbagliano, prendiamo gol, ci sta: nel calcio ci sta. Però da quando è successo questo problema la squadra non c’è più. E cerca di fare il massimo, ma se durante la settimana si parla sempre della solita cosa, che non è il calcio, è un’altra cosa, poi la domenica vogliamo venire qui e fare le partite?».

In sala stampa lo segue il senatore Michele Ferri. Che ha giocato ovunque, in serie A, in serie B e in serie C. E che dichiara: «È la prima volta che vivo un’esperienza del genere e di certo non è una cosa positiva: in settimana non si fa altro che parlare di questa situazione. E non è bello se, invece di tattica e diagonali, si parla di altre cose. Quando scendiamo in campo non pensiamo ai problemi societari, e sotto il profilo dell’impegno non abbiamo nulla da rimproverarci: i ragazzi stanno dando l’anima. Cosa si cerca di fare? Si cerca di incitare i giovani e dir loro che il calcio non finisce oggi. Io magari sono a fine carriera, ma la maggior parte di loro sono giovani e hanno tutta la carriera davanti: devono farlo per loro stessi, per un futuro. Si spera che il Varese vada avanti – conclude il senatore – Ma se non dovesse andare avanti il calcio non finisce a Varese».

Un passo indietro, per rivivere il resto della giornata. Che ha tutto per essere il momento più basso del Varese dalla rinascita del 2015 a oggi. Una giornata in cui la dirigenza presente (Ciavarrella e Rosa) prova a nascondere lo stress dietro a qualche timido sorriso, mentre la dirigenza assente (Basile, oltre a Taddeo) resta dietro gli schermi dei telefoni, a seguire da lontano la partita.

Una giornata piena di nervosismo: lo si respira dalle attese dei tifosi, che vorrebbero una vittoria per non pensare a cosa sta accadendo ma sanno che potrebbe non arrivare.

Nervosismo che esplode nella ripresa, quando il 2-1 del Casale al 16’ svela la realtà: la squadra prova a dare il massimo, ma ci riescono in pochi. Perché la testa pesa, dopo un mese di caos totale. Ovvio guardare all’ultimo arrivato, Niccolò Gucci: arrivato con promesse e stipendio importanti. Arrivato un attimo prima dell’esplosione della bomba societaria. Ma Gucci non c’è: non è mai al posto giusto, calcia sfiduciato. Non la prende mai.

Ma Baiano, che l’ha voluto fortemente, lo tiene in campo: i tifosi impazziscono. Chiedono cambi, urlano. Se la prendono con il mister che, testardo ma soprattutto solo, tira dritto per la sua strada. Fa cambi discutibili (al 22’ fuori Ferri e cambio modulo: stessa scelta fatta con la Caronnese, che non ha portato bene), sbagliati (al 33’ fuori Giovio e dentro Innocenti: meglio morire con chi ha il Varese nel cuore, come Giovio e Becchio…) e in netto ritardo (39’: fuori, finalmente, Gucci, dentro Moretti per una manciata di minuti). In conferenza, prima di esplodere, Baiano spiegherà che le scelte sono conseguenza di ciò che vede in allenamento.

Fischio finale, altra sconfitta, squadra che se ne va a testa bassa con la Curva che gli destina, insieme, applausi e fischi. Curva che, ieri come sempre, non si è risparmiata, dal 1’ al 90’. Curva che, per ora, non ha ancora preso una posizione netta sulla questione societaria. Curva che, presto, potrebbe invece fare ciò che è nella sua indole e nella sua storia, cioè parlare forte e chiaro, prendere posizione con rabbia e passione, spinta dall’unica cosa che è di suo interesse: il Varese e il suo bene.

Con le dichiarazioni di Baiano pare chiaro che la situazione sia definitivamente esplosa. E ora urgono soluzioni: le ha di fatto chieste il tecnico, le attendono staff (tutto: dalla prima squadra alla Scuola calcio, genitori compresi) e giocatori, le pretendono i fornitori che ogni giorno bussano alla porta della sede per sapere quando verranno pagati. Il campionato si ferma (domenica non si gioca per il Torneo di Viareggio: il 19 la sfida in casa contro la Pro Settimo) e la società deve muoversi. Oggi verrà convocata l’assemblea dei soci richiesta venerdì da Basile e Taddeo e i soci si siederanno al tavolo: da statuto, dalla convocazione devono passare otto giorni. In quel momento ci si siederà intorno al tavolo. E, in quel momento, si spera venga trovata una soluzione per non finire ancora più a fondo di quanto non si sia già.