Capitano del futuro: «Io voglio restare qui»

Giancarlo Ferrero, un altro traguardo raggiunto con Varese e un domani ancora da scrivere

Giocare in Serie A: fatto. Dimostrare di poter reggere il livello della Serie A: fatto. Giocare in quintetto in una squadra di Serie A: fatto. Essere il capitano di una squadra di Serie A: fatto. O quasi. Dopodomani la favola di Giancarlo Ferrero si comporrà di un nuovo capitolo: il ragazzino di Bra che sognava il grande basket davanti alla televisione calcherà il parquet di Masnago da capitano della Pallacanestro Varese. Fame, bravura, tenacia e destino si fondono insieme nella scalata alla vita di questo ragazzo sempre sorridente ed educato: prima di immaginare un’altra cima, prima di girare un’altra pagina, prima di scrivere un’altra riga, fermiamoci con lui e assaporiamo il qui e ora.

E’ una grandissima emozione. Sapere che sarei diventato capitano dalle parole di Daniele (Cavaliero ndr), nel giorno del suo addio, mi ha fatto tanto piacere, anche perché lui non sarà mai solo un compagno di squadra quanto un amico ben oltre la pallacanestro. Per almeno due partite avrò dunque questo ruolo in un posto come Varese: se penso a dov’ero solo due anni fa, tutto ciò è proprio una bella storia. Questa investitura mi inorgoglisce e mi dà ancora più energia.

Sognavo di arrivare a giocare in Serie A e lo facevo guardando le partite di campionato sulla Rai il sabato o la domenica pomeriggio. Sognavo di giocare sui parquet più importanti e uno di questi era sicuramente quello di Masnago. Due anni fa ho avuto la chance di dimostrare di poter stare a questo livello e se mi guardo indietro penso di aver fatto un buon percorso: il bello, tuttavia, è poter alzare l’asticella sempre più in alto e quindi diventare capitano della Pallacanestro Varese è un nuovo traguardo raggiunto.

Mi hanno scritto tanti amici e mi ha fatto davvero piacere. Ma quello che ha detto Cavaliero (<Lascio Varese in buone mani> ndr) è stata la cosa più importante per me. E poi, ma non c’era bisogno di questa occasione per rendermene conto, è stato grande l’affetto dei tifosi biancorossi: loro mi fanno sentire speciale ogni domenica già alla presentazione, il loro calore nei miei confronti è senza soluzione di continuità.

Il capitano deve dare l’esempio: è una responsabilità sulle spalle non da poco. Significa essere una persona che, fin dal primo allenamento ad agosto, fa vedere ai compagni che c’è sempre, che è sempre puntuale, che si allena in un certo modo. Non contano tanto le parole che si dicono, contano i comportamenti.

Siamo passati attraverso l’inferno e ne siamo venuti fuori. Alla grande. Siamo riusciti a riprenderci le vittorie che nella prima parte dell’annata ci sono scappate di mano, anche se magari ce le meritavamo, facendo un girone di ritorno di altissimo livello. Aver riportato l’entusiasmo intorno a noi penso sia una cosa che ci faccia onore: peccato solo che tutto stia per finire. Dal punto di vista strettamente personale devo ringraziare coach Caja: quando è arrivato mi ha dato grande fiducia, è sotto gli occhi di tutti. Mi ha messo in quintetto, ha sempre parlato bene di me e mi ha aiutato molto: a volte sono riuscito a fare quello che mi chiedeva, a volte avrei voluto fare di più. Il bilancio è comunque positivo: questo finale è stato entusiasmante.

E’ tutta una questione di spaziature e di abitudine. Ho sempre pensato che una delle mie forze fosse proprio quella di sapermi adattare alle situazioni: quando mi hanno messo a giocare da guardia ho cercato di sfruttare il vantaggio fisico, da “4” tattico i vantaggi sono stati altri. L’importante per me rimane trovare un modo per stare in campo. Ovunque.

Ci ha dato innanzitutto una metodologia di allenamento che si è rivelata vincente nell’affrontare le partite, sia dal punto di vista fisico che mentale: non a caso con lui siamo riusciti a vincere parecchi match nel finale, proprio nel momento in cui gli altri calano (penso soprattutto alle rimonte con Avellino e Trento). Inoltre, sempre grazie a lui, abbiamo ritrovato l’entusiasmo.

Dobbiamo prenderne atto: un campionato dura 30 partite e solo tutte insieme arrivano a dare un verdetto. Sull’intero anno non ci siamo meritati più di quello che stiamo infine ottenendo.

Qui sto bene e si vede, soprattutto per l’affetto che ricevo dalla gente. Penso sia giusto che la società faccia le sue valutazioni, io posso solo ripetere che a Varese sto benissimo. Anche perché questa città mi ha dato la possibilità di vincere una scommessa, in primis con me stesso: quella di dimostrare di essere un giocatore all’altezza. Altre certezze non ci sono al momento: spero che un giorno ci si sieda al tavolo e si possa costruire insieme un futuro che mi consenta di essere ancora un elemento importante di questa realtà.