Ci stanno tirando giù Il Varese ora si gioca la vita

Siamo fortunati perché forse abbiamo scoperto cosa fare per salvarci (risultati disastrosi: siamo solo a +4, sotto risalgono come motociclette e restano due scontri diretti fuori: Cittadella più Novara), e anche cosa fare – se ci salviamo – per tornare a essere noi stessi e cioè il vero, unico e autentico Varese.

Chi ama questa squadra si accontenta di sapere che esiste ancora il vecchio spirito dei pionieri arrivati dall’Eccellenza a un passo dalla serie A solo con le grigliate del Dante a fare gruppo e i giocatori esiliati o pescati da Sogliano in serie infime, panchine infinite, eldorado sconosciuti. Quando il Varese è strabattuto come ieri e gioca “in otto” (sette assenze devastanti più l’ultima di Corti) mettendo alle corde 6mila tifosi e la quarta della classe con il disperato gol del 2-2, significa che non muore mai. Spacciati, stra-espulsi, fuori tutti ma più vivi di prima. Grazie a Pavoletti ma anche grazie allo spirito di Sottili e dei nostri: guardate con che coraggio e incoscienza sono entrati Forte e Barberis, come correva e crossava il Fiamozzi-1 a centrocampo, prima di traballare in difesa, o come soffiava sul fuoco Ely a cui manca solo una grande spalla.

Non ce ne frega nulla di formazione e cambi (però Forte per Ricci è stato un petardo in faccia: scuote e fa tremare), perché a Varese non hanno mai fatto la differenza. Qualunque altro allenatore senza 8 titolari, ridotto in 10 e poi in 9, tornava a casa con tre pere sul groppone. Qualunque altro allenatore, con una squadra che in alcuni elementi ha uno spirito da Varese e in altri proprio no, non avrebbe saputo farti (farci) credere in noi e in loro fino in fondo. Per umiltà e genuinità, Sottili ricorda Seghedoni. Per la disperazione e il sangue, Fascetti. Per tutto il resto è Sottili: siamo anche stufi di tutti questi paragoni recenti, lui non è né Sannino, né Maran; è cresciuto all’oratorio dei salesiani e si porta sempre un rosario in tasca, o al collo, ma non lo esibisce. Perché ha dei valori. Sani. Vive, anzi mangia pane e Varese.

Il Varese si salva con quelli che non hanno niente da perdere e hanno ancora tutto da dimostrare, nella vita e nella maglia: Forte, Fiamozzi, Barberis e Pavoletti, che in realtà è il primo dei bambini, con il maialino Mou, anche quando nel campetto di Livorno lo chiamavano Papin perché tifava Milan ed era un piccoletto.

Questa è la lezione da cui ripartire, che il ds Lele Ambrosetti conosceva già: i grandi vecchi che danno ai giovani il pane giusto, l’entusiasmo dei varesini e di ragazzi terribili che hanno fame: alla Giannone, alla Miracoli, alla Beretta, alla Osuji, pescati nel Feralpi o perfino nella Pro Patria purché prima di indossare la maglia biancorossa, sognino di farlo.

Adesso dentro tutti e avanti tutta con l’indomabile Lanciano: siamo fermi a 7 punti dalla salvezza, sempre che ne bastino 50 dopo i risultati tragici di ieri sera, come fosse un miraggio. Sabato dovranno essere 4: non ci sono storie. Pavoletti, se ripensa all’andata, ha qualcosa da farsi perdonare. E anche tutti noi: con Stefano Sottili, che in Abruzzo perse un pezzo di vita.

Andrea Confalonieri

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