«Ciao papà, sai che Martina ama Neto? Diglielo tu ai criticoni di non rompere»

Se n’è andato due anni fa, ma è come se ci fosse stato sempre. Peo Maroso, eterna bandiera biancorossa, vive ogni volta che il Varese lascia sul campo l’ultima goccia di sudore. Vive in un gol di Neto Pereira, e in una giocata di Forte, nella grinta di Bettinelli e ogni volta che un bambino del settore giovanile si allaccia gli scarpini prima di entrare in campo.

Virgilio Maroso, figlio del grande giocatore-allenatore-presidente del Varese, porta avanti la tradizione. E siccome buon sangue non mente, anche l’undicenne figlia Martina, adorata nipotina del Peo, si è innamorata dei colori biancorossi.

«All’inizio di ogni stagione mi chiede: “Papà, ma Neto rimane?” – sorride Virgilio – È il suo preferito da sempre, si vede che capisce di calcio. Ha già la testa del nonno..».

Due anni senza il Peo. La sua passione per i colori biancorossi è immutata?

Certamente, quella non passerà mai. La vivo sempre allo stesso modo. Quello che mi manca è non fare più quel pezzo di strada per andare a casa di mio papà dopo le partite. Lui voleva sapere tutto, e io gli raccontavo ogni cosa per filo e per segno. Questo sì, mi manca.

Quanto c’è del Peo in questo Varese?

C’è tanto. Vedere un Varese così giovane e varesino l’avrebbe reso felice. L’età media dei giocatori; un direttore sportivo come Lele Ambrosetti, che lui aveva lanciato da giocatore nei professionisti e di cui parlava sempre benissimo. E poi mister Bettinelli, uno che sa perfettamente cosa sia l’anima del Varese. Tutte scelte che lui avrebbe avallato e sostenuto, da vero tifoso quale era. Forse questa squadra gli avrebbe ricordato il suo Varese del ’73, una squadra giovane, con un allenatore alle prime esperienze, proprio com’era lui in quegli anni.

Cosa invece non gli sarebbe piaciuto?

Direbbe ai tifosi di avere più pazienza. Sabato pomeriggio, dopo i primi passaggi sbagliati, si è sentito qualche fischio. Basta una prestazione così così, e subito qualcuno comincia a lamentarsi, dimenticando che il presidente Laurenza, un vero tifoso, ha fatto i salti mortali per iscrivere la squadra. Lo so che veniamo da stagioni molto positive (tranne l’ultima) ma non si può chiedere la luna tutti gli anni. Bisogna avere pazienza: mio papà avrebbe rasserenato l’ambiente, mettendo a tacere tutti i “criticoni”.

Ma cosa manca a questo Varese per diventare una vera squadra “alla Maroso”?

Solo un po’ di tempo. Ai gufi che già criticano tutto, mio papà direbbe «Non rompete e lasciate lavorare in pace l’allenatore e la squadra». È inutile cominciare a mugugnare, questa squadra va solo aiutata e vedrete che verrà fuori. L’importante è sostenerla tutti in modo compatto.

Chi sarebbe il preferito del Peo, oggi?

Lui ha sempre avuto un debole per i giovani, per cui di sicuro avrebbe un occhio di riguardo per ragazzi come Forte e Scapinello. Ma credo che, in assoluto, il suo preferito sarebbe Neto Pereira, un autentico esempio e una guida per i tanti giovani che abbiamo in squadra. Inconcepibile che l’anno scorso abbia avuto poco spazio, ma fortunatamente quella pagina è stata girata. Per questa categoria, Neto è un fuoriclasse.

Quanto è vivo il ricordo del Peo al Franco Ossola?

La gente gli è ancora molto affezionata e mi parla spesso di lui. Mi ha fatto particolarmente piacere sabato scorso vedere allo stadio Ottavio Biasibetti, una delle persone che più gli sono rimaste vicine negli ultimi giorni. Ma il ricordo è sempre vivo anche fuori da Varese: quest’estate ero in vacanza a Chiavari e sono andato a trovare Devis Mangia, che con il suo Bari doveva giocare contro l’Entella. Abbiamo fatto una bella chiacchierata in albergo, lui era legatissimo a mio papà. Poi il Bari ha vinto: gli abbiamo portato fortuna. n

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