«Critiche sì, insulti no o li affossiamo. Giochiamo da provinciale e salviamoci»

Marino Zanatta: «È come se fosse settembre, giocatori che non si conoscono vanno ancora assemblati. Wright non è il messia. Dobbiamo nascondere i limiti, vivere alla giornata, speculare e controllare i tiri»

Tesi, antitesi e sintesi: la salvezza di Varese Marino Zanatta la vede così. È hegeliano il discorrere del grande ex campione – oggi tifoso biancorosso interessato e fedele – all’indomani di una sconfitta che ha proiettato, ormai senza dubbio alcuno, la Openjobmetis nel pieno della zona calda della classifica.

L’ultimo posto è a due punti, Capo d’Orlando si appropinqua alle porte facendo suonare l’allarme per una sfida di estrema importanza, l’umore è quello di chi è reduce da tre insuccessi di fila e la salute – come sempre in questa stagione – non traspare dai bollettini medici. È arrivato il momento di preoccuparsi? Sì, ma anche quello di ragionare, con l’obbiettivo di ricompattare squadra e ambiente per conquistare i punti che mancano alla meta della permanenza in serie A.

Il primo punto è capire chi siamo: «La Varese di oggi è come normalmente sono le squadre a settembre – esordisce Zanatta – momento in cui inizia la stagione, i giocatori non si conoscono e vanno messi insieme. Questo stato traspare dal modo in cui gioca: individualità, errori, poca costanza di rendimento. Perché accade? Perché nell’annata è successo di tutto, tra infortuni e cambi di giocatori, e l’attualità è lo specchio di tutte le difficoltà attraversate. E poi perché la dose di talento dei suoi effettivi è quella che è».

L’ex presidente, però, aggiunge anche questo: «Attenzione a non fossilizzarsi troppo sulla sfortuna. Gli infortuni li hanno avuti tutti in campionato e il nostro valore non è così lontano da quello che dice la classifica. Il punto è che se sei in grado di dare solo 40 su 100, non puoi continuamente pensare di raggiungere il 100 e poi trovarti a dare 35: prendi 40 come obbiettivo e fai di tutto per raggiungere questa soglia. Penso che la formazione di Moretti debba innanzitutto imparare a conoscere le proprie debolezze e a giocare con l’umiltà di una “provinciale”, come si diceva una volta di alcune squadre di calcio». Seconda questione: non ci sono demiurghi all’orizzonte. «Sarebbe profondamente sbagliato pensare che il nuovo arrivo Chris Wright possa essere il messia – arringa Marino – Fermi tutti: prima pensiamo a nascondere i nostri limiti e a favorire il suo inserimento, anche perché il tempo è poco. Mi piacerebbe vedere una squadra in cui tira da tre solo chi è capace, in cui fa un assist solo chi è in grado di farlo e non chi perde mille palloni, in cui ci siano responsabilità e gerarchie chiare». Giocare con umiltà, da “provinciale” significa anche altro: «Se sei più debole degli altri, cerca di limitare i possessi, specula sui ritmi bassi, controlla il numero di tiri. Solo così puoi cavartela. E poi non esagerare con le rotazioni: servono elementi affidabili e la stanchezza non deve esistere».

Il percorso è duro: «Le altre contendenti per la salvezza stanno trovando il loro modo di essere. Penso soprattutto a Torino, che ha preso Eyenga e riavrà Dyson, o alla stessa Capo d’Orlando che verrà al Palawhirlpool domenica prossima diversa da quella che iniziò la crisi proprio contro di noi all’andata». Ma la strada è percorribile: «Se riusciremo a trovare una nostra dimensione, a essere consci delle nostre debolezze e dei pochi punti di forza e a vivere alla giornata, guardando sempre dove mettiamo i piedi, ecco allora che ce la possiamo fare. Varese dovrà imparare a soffrire, fino in fondo». Alla sintesi, tuttavia, manca ancora qualcosa. E non riguarda chi va in campo: «Prendo spunto da quello che è successo con Galloway, insultato da quasi tutto il palazzetto, per dire questo: contestare in tal modo non fa bene a nessuno e può avere un impatto devastante sulla squadra» afferma Zanatta. Che, in previsione del match contro i siciliani, lancia una sorta di vademecum del tifo: «Criticare va bene, ma basta offendere. Chi va sul parquet è un ragazzo di 23-24 anni, non può giocare paralizzato dalla paura di sbagliare. Anche questo sarà un aspetto decisivo per raggiungere la salvezza: dobbiamo fare il tifo ed aiutare la squadra, applaudendola. Perché è quando annaspi che hai bisogno del supporto, non quando vinci. Domenica prossima non sarà l’ultima spiaggia: facciamo tutti un passo alla volta»