«Grandi sponsor? Varese ha appeal, il basket no»

Una maglia gloriosa che cerca uno sponsor è come una principessa che insegue il suo principe azzurro. Nelle favole, così come è stato nel grande passato del basket varesino, il lieto fine sarebbe garantito. I primi ad augurarsi che finisca così anche nella realtà sono i dirigenti biancorossi, impegnati da settimane nella difficile ricerca di un partner principale che dia sollievo a un budget inevitabilmente in contrazione. Toto Bulgheroni, che della Pallacanestro Varese è stato giocatore, patron e presidente, sa bene cosa significhi abbinare grandi squadre e grandi marchi. Dalla mitica Ignis, di cui vestì la casacca sul campo, a Cagiva e DiVarese, che affiancarono la sua lunga esperienza manageriale in biancorosso: la varesinità è sempre stata un’arma in più e la speranza è che possa continuare a esserlo anche nel prossimo futuro.

Si tratta sicuramente di un fattore molto importante e di grande richiamo. Però le difficoltà nella ricerca con le quali si sta cimentando la Pallacanestro Varese in questo momento si spiegano da un lato con la situazione economica generale, dall’altro con il fatto che il nostro territorio non esprime più grandi realtà economiche.

La realtà va analizzata in maniera oggettiva: il nostro territorio è fatto in grande prevalenza di piccole e medie imprese. Quelle grandi sono sparite o sono passate in altre mani, per cui è inevitabile che si faccia più fatica nel trovare un grande partner a livello locale. E quando questo accade credo sia ancora più difficile che la soluzione possa essere individuata fuori dal contesto territoriale. Però Varese ha intrapreso da alcuni anni una strada molto positiva.

Certamente. Quella è la soluzione che ha permesso in questi anni la sopravvivenza del club e il suo mantenersi in salute, a differenza di altre realtà, come Siena e Montegranaro, dove è accaduto quello che tutti sappiamo.

Per tanti anni in passato, durante la nostra gestione, abbiamo puntato a garantire il futuro ragionando sulla base dei numeri e tenendo i piedi per terra. Chi è venuto dopo di noi ha cercato di fare la stessa cosa, con alti e bassi. È giusto far conto sulle risorse che si hanno a disposizione, mantenendo sempre viva la speranza che qualcuno voglia abbinare il proprio nome a una realtà importante come Varese.

Tutti sanno quanto io sia legato a Gianmarco e quanto lui sia capace di suscitare simpatia e coinvolgimento. L’aspetto emotivo conta sicuramente, però bisogna tener conto che la situazione è quella che è.

Innanzitutto occorre fare un discorso più ampio, di appeal, che riguarda il movimento del basket italiano. Io credo che Lega e Federazione da questo punto di vista debbano impegnarsi a fondo perché la pallacanestro possa recuperare, sui giornali e in televisione, quello spazio di cui godeva in passato e che ne faceva forse il secondo sport a livello nazionale. E poi c’è il risvolto economico.

Le aziende oggi hanno risorse sempre più limitate da investire in sponsorizzazioni e pubblicità, per cui è chiaro che tendono a concentrarle laddove si aspettano di ottenere grandi ritorni. Legare il proprio nome a quello di Varese dà sicuramente di più in termine di immagine rispetto a tante altre realtà, ma è comunque la capacità di attrazione del basket a essere bassa in questo momento. Manager e imprenditori puntano a massimizzare: dunque guardano altrove.

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