«I bimbi del Varese sanno chi è il Peo. Ai grandi direbbe: grinta, fiducia, sorrisi»

Cinque anni senza Maroso. Il 16 settembre 2012 ci lasciava la leggenda biancorossa. La onoriamo con suo figlio Virgilio

Cinque anni senza il Peo. Cinque anni senza il giocatore, allenatore, presidente, papà, bandiera, leggenda del Varese. Cinque anni che sembrano un attimo, perché il Peo è ancora qui: nella maglia che rappresenta la città, nel vento che spazza Masnago, nei bambini della scuola calcio. Nel cuore di chiunque faccia parte – da ieri, da oggi, da domani – della famiglia biancorossa. Nella forza di Martina, la sua adorata nipotina. E nei ricordi di Virgilio, suo figlio, con cui torniamo ad abbracciare, tutti insieme, il Peo.

Sono passati cinque anni, ma a me sembra come se ne fosse andato ieri. Anzi, lo sento ancora qui: quando ho bisogno, gli chiedo aiuto. “Speriamo che il Peo guardi giù…”: una frase che ho sentito tante volte. E pensato ancora di più: in momenti di vita personale e a volte anche di calcio, come quando siamo ripartiti dall’Eccellenza. Lo sento ancora qui quando mi fermano per la strada per parlare di lui, quando mi scrivono su Facebook: ognuno ha il suo ricordo. E c’è una cosa che mi fa particolare piacere…


C’è una cosa che resta dentro, che in tanti mi dicono. Questa: «Se dici Peo Maroso alle nuove generazioni di bimbi che giocano nel Varese, sanno chi è». A volte si perde la memoria delle persone: non quella del Peo. E questo è un piacere enorme: è il ricordo di una grande persona che ha fatto tanto. Per la sua città, per la sua squadra, per la sua nipotina, per la sua famiglia. Il suo ricordo è qui con noi, più vivo che mai.

Mi manca come guida. Dopo la sua morte ci sono state tante decisioni importanti da prendere, a volte con difficoltà: quando c’era lui, la sua parola era quella da ascoltare. Perché era quella giusta: in ogni situazione da risolvere sapeva cosa fare, che consiglio dare. Non nascondo che tante volte, dal punto di vista caratteriale, mi manca qualcosa di lui: la sua forza, la sua autorità nell’indicare sempre la strada giusta.


Mi aiuta a dare sempre una visione positiva alle cose. È stato un maestro di calcio, da allenatore. E un maestro di vita, per me e per la nostra famiglia. I suoi insegnamenti, i suoi valori, sono sempre qui. E non ci devono mai lasciare.

Benissimo: non ha flash, ha ricordi. Oggi ha 14 anni, ha appena iniziato la prima superiore. Io e sua mamma Antonella abbiamo la fortuna di avere una figlia molto sveglia e con grande memoria. E lei, nei suoi momenti difficili, magari quelli di scuola, fa quello che facciamo noi. Dice: “Se ci fosse qui il nonno…”. Il Peo, per lei e per Antonella, c’era sempre. Era un punto di riferimento e anche a loro manca tantissimo.

La stessa testardaggine, positiva e propositiva: se si mette in testa un obiettivo, deve raggiungerlo.

Una persona come lui, una bandiera come lui, e come le altre che hanno fatto la storia dei nostri colori, è un esempio che resta. Mi auguro che oltre alle persone, anche la società attuale e quelle future facciano sempre brillare il ricordo di papà e di tutti quelli che come papà hanno fatto la storia del Varese. Il Peo, tra la gente, è tuttora una stella che brilla: e questo è un orgoglio. È giusto pensare al presente e al futuro: ma nella tradizione di una società le bandiere devono sempre sventolare. E ho una speranza…


Che in futuro ce ne siano altre, che scrivano la storia del Varese. Anche se non credo che sarà facile trovare qualcuno capace di vincere da giocatore, da allenatore e da presidente. Una sua peculiarità, molto curiosa: non credo siano in molti nella storia del calcio ad avere questo record. Ecco, gli manca da direttore sportivo: ma lui era un uomo di campo, anche se l’amore per il Varese l’ha portato anche ad essere il regista, con Ricky Sogliano, di un Varese che resta indimenticabile.


Per la rinascita volle Mario Belluzzo, che stimava molto a livello tecnico: purtroppo durò poco, lui non avrebbe voluto l’esonero ma il vulcanico Ricky decise di cambiare. Arrivò un giovane Mangia, che il Peo prese sotto braccio e aiutò a crescere: ci faceva delle grandi chiacchierate, gli insegnava e lo proteggeva. Quando la sua carriera è proseguita continuarono a sentirsi: ma non quando vinceva, quando perdeva. E Mangia, dopo aver vinto la semifinale degli Europei con l’Under 21, ai microfoni Rai gli dedicò la vittoria. Se devo dire un allenatore che incarna il Peo, prendo il carisma e la grinta di Sannino, la testa di Mangia e la preparazione di Maran, faccio un mix e viene fuori qualcosa di grande. Qualcosa che assomiglia al Peo.


Uno ce l’abbiamo già, Silvio Papini. È ciò di cui il Varese ha bisogno: ama i colori, ha esperienza, conosce l’ambiente; una bravissima persona, che nel mondo del calcio è sempre più difficile trovare. Come lui, anche Marco Caccianiga: un maestro di grande carisma che insegna i valori ai bambini.

Siamo alla quarta partita e lui era contro i processi: non è il momento di farli, il tempo c’è. Domani però è una partita da svolta: bisogna vincere e da lì risalire. Purtroppo non ci sarà il pubblico, il nostro 12o uomo: servirà ancora di più un’impresa. Il Peo isolerebbe la squadra, per caricarla. E per togliere la tensione: che stempererebbe, con un sorriso; rimanendo serio ma senza prendersi troppo sul serio. Una passeggiata insieme, un panino che fa meglio della dieta. E una partitella, per divertirsi e ritrovare il morale.


La grinta, la sua peculiarità. L’ha detto Iacolino: servono le palle. Le avrebbe tirate fuori e da capitano, da esempio, le avrebbe fatte tirare fuori a tutti i compagni.

Andrò a parlare con lui al cimitero: gli chiederò aiuto, come sempre. Gli chiederò consigli per seguire la strada giusta. E sì, gli parlerò anche del Varese: del suo Varese.