Il problema non è Bettinelli

L’esperto Di Marzio spara i nomi dei possibili sostituti, la gente è delusa ma la verità per noi è un’altra. Squadra sopravvalutata, mercato pasticciato. A nuovi e vecchi dirigenti diciamo: chiarezza e varesinità

Orgoglio varesino. Chi arriva in questa squadra o in questa città deve sapere chi siamo e cosa vogliamo.
Noi siamo quelli che seguivano il Varese in Eccellenza e lo seguiranno ancora, se mai dovesse tornarci. E vogliamo che la società abbia un progetto sportivo ed economico, che rappresenti la città e il pubblico di cui è espressione, che faccia le cose limpide alla virgola, che difenda il vivaio e soprattutto la varesinità dentro e fuori le sue mura (e invece negli anni la varesinità è stata, più o meno, esiliata). Chi arriva a Masnago deve dirci chi è, nome cognome e professione, spiegarci quali interessi rappresenta, perché ha scelto il Varese e Varese, cosa vuole da noi e dove vuole portarci. Quindi, chiarezza totale e schiettezza assoluta, al limite della brutalità.

Partiamo da Stefano Bettinelli. Se Gianluca Di Marzio, che non è l’ultimo arrivato (anzi, sul calcio mercato è il primo in Italia), scrive da giorni che «la caccia all’allenatore del Varese continua», oppure che «Marcolin ha rifiutato», o ancora snocciola i nomi dei papabili «Mutti, Apolloni, Calori», i casi sono due: o è impazzito e si inventa tutto, o qualcuno si muove per contattare allenatori facendo male a quello che c’è e quindi alla squadra che allena.


Non abbiamo le fette di salame sugli occhi e vediamo benissimo che la popolarità del tecnico è in forte calo (ultimamente giochiamo male o siamo spompi, gli uomini cardine sono stanchi, i giovani non crescono, il portiere è nell’occhio del ciclone ecc.), non ci tiriamo indietro di fronte alla realtà e al dovere di critica, non sposiamo niente e nessuno a prescindere se non il cuore del Varese.
Però il problema di questa squadra non è l’allenatore, sono altri: un mercato sbagliato perché fatto da persone diverse con idee opposte ed esperienze imparagonabili (Ambrosetti, Cannella), l’impossibilità di chiedere ai senatori Zecchin-Corti-Neto (che erano già senatori 5 anni fa…) di galoppare al 100% perché è umano alla loro età farlo ogni tanto al 50% – ma nel momento in cui accade, il Varese perde al 100% -, la mancanza di veri talenti a parte Capezzi e per talenti intendiamo i Lazaar, i Pisano e i De Luca (ma perfino i Kurtic, i Bernardini, i Nadarevic dell’epoca).

La rosa attuale con i suoi limiti d’età, di classe, di personalità, di budget entro i quali è stata costruita e con le sue scarse possibilità di crescita è da retrocessione in Lega Pro, ma il suo spirito no è certamente da salvezza.
Qui si chiede a un allenatore che di questo spirito è forse l’ultima bandiera perché nato nella culla biancorossa, e perché duro e puro fino a risultare antipatico, di far giocar bene e a mille all’ora una squadra che è una barchetta di carta ma viene giudicata alla stregua di una corazzata. Qui abbiamo poco o nulla, e in quel poco o nulla c’è Bettinelli, ma rischiamo di buttarlo via perché vogliamo tutto.
Peo Maroso e Carlo Soldo ma pure Eugenio Fascetti nell’80/81 salvarono squadre molto più deboli delle avversarie con alcuni “bastardi” 0-0 come quello che stavamo per conquistare a Latina, eppure Bettinelli, anche se fosse riuscito a ottenerlo, sarebbe stato ugualmente crocifisso. Perché è passata un’idea sbagliata, e l’idea sbagliata è questa: l’allenatore castra i nuovi Maldini e i nuovi Pavoletti (sarebbero Tamas e Petkovic; adesso è spuntato perfino il nuovo Buffon, alias Perucchini). E ancora: se mette Lupoli perché non gioca Miracoli e se mette Miracoli perché non gioca Lupoli. Avanti così: se si prende gol o se non lo si fa è colpa del modulo sbagliato eccetera eccetera eccetera.
Cercano l’isola che non c’è… ma quell’isola non c’è! Si cullano nel “loro” Varese ideale schiacciando coi loro sogni quello reale. Pensano di non dover fare fatica a salvarsi, arrivando a credere che senza Bettinelli sicuramente non la faranno! Ma questo povero, piccolo e debolissimo Varese non si salverà mai con la smania di cambiare, senza la voglia di soffrire mangiandosi la minestra amara e riscaldata che c’è nel piatto o con i nuovi Maldini e Pavoletti che esistono solo sulla carta: si salverà con quelli che sanno cosa è il Varese, da dove arriva e dove va. Si salverà facendovi inorridire e imbestialire, magari pareggiando col Crotone e perdendo a Pescara, ma restando attaccato all’ultimo filo di sangue biancorosso rimasto da queste parti. Il sangue di Stefano Bettinelli.

Capitolo società. A noi potrebbe anche non interessare a chi dà spazio o potere decisionale Nicola Laurenza pur di avere i soldi, di mese in mese, per salvare temporaneamente la società. Invece interessa perché se fai entrare qualcuno in cambio di aiuti economici (che servono, quindi bravo a chi li ha trovati), poi quel qualcuno giustamente pretende di decidere: come? Perché? Fino a quando?
E interessa soprattutto sapere qual è il progetto sportivo: da Ambrosetti a Cannella passa un oceano (e ce ne passa anche tra loro due e Spartaco Landini). Se scegli Cannella, spieghi perché l’hai fatto e vai fino in fondo con lui, assumendoti le responsabilità della scelta. Idem per Imborgia (benvenuto e buon lavoro).

Il vicepresidente Paolo Vitiello ha attaccato gli imprenditori locali rei di avere abbandonato Laurenza. Ma perché un imprenditore varesino dovrebbe mettere soldi per salvare (saldare) i debiti fatti da altri, senza neppure comandare? «Hanno fatto tutto di testa loro per anni – direbbe questo ipotetico imprenditore varesino – e adesso dovremmo arrivare noi varesini a metterci il grano? Di più: la società non è mai stata in vendita, nemmeno ora lo è, quindi evidentemente ce la fa da sola».
I varesini ragionano così, se li provi a “prendere” ordinando o piangendo, si voltano dall’altra parte (devi essere bravo a coinvolgerli e far sì che loro si fidino di te, poi ti aprono il cuore. E il portafogli). O rispondono: «Siete bravi voi? Andate avanti voi».

Nella base del pubblico serpeggia l’atavica paura: perdere varesinità a tutti i livelli non produce nulla di buono. Serpeggia dall’addio di Giorgio Scapini al vivaio, di Paola Frascaroli al marketing o di Marco Bof nei quadri societari. Si chiedono: perché privarsi di qualcuno o di qualcosa che funziona, produce risultati e per il Varese si butta nel fuoco? Privarsene ha portato vantaggi? Se sì: quali?