Il Varese è serie A: puro, semplice, vero

Guardare al passato per ricostruire il futuro: Mario Chiodetti racconta i valori e lo spirito racchiuso dai colori biancorossi

Noi vogliamo farvi piangere, ma non lacrime di rabbia, goccioloni di memoria, di quelli che venivano giù per il freddo quando si urlava «forza Varese» dalla curva, in piedi come pesci in conserva nella gelida tramontana di gennaio, e intorno si spandeva l’odore del fumo di Nazionali e Alfa, spremute fino alla fine come limoni.

La tribuna di cemento del Franco Ossola e la parte laterale in tubolari

La tribuna di cemento del Franco Ossola e la parte laterale in tubolari

(Foto by Osvaldo Cardenia)

Il furore e l’impotenza li lasciamo all’oggi, nel vedere i colori biancorossi trattati come merce di scambio, qui raccontiamo una squadra leggendaria fatta di uomini semplici, dentro e fuori dal campo, magari un po’ ingenui ma veri, con i loro volti già vecchi a trent’anni, le maglie di lana e i pantaloncini corti come quelli di noi bambini.

Da un cassetto sono spuntate decine di fotografie in bianco e nero, stampate su carta baritata 18×24, scattate da Osvaldo Cardenia, che oggi ha 88 anni, che ogni domenica era a bordo campo al “Franco Ossola” negli anni della serie A e anche prima, Rollei biottica al collo, più tardi una Nikon, ingaggiato dalla leggendaria Agenzia Blitz.

Dario Cardenia (a destra), figlio di Osvaldo, con i colleghi a bordo campo

Dario Cardenia (a destra), figlio di Osvaldo, con i colleghi a bordo campo

(Foto by Osvaldo Cardenia)

Con lui un uomo troppo buono, Mario Broggini, fotografo multitasking, l’archivio vivente del Varese Calcio finché non se ne è andato, povero e dimenticato, senza nemmeno un addio. Mario era come i gatti, stava male e si rintanava, spariva e ricompariva, malandato e con un sorriso.
Erano i tempi di Preda e Faoro, di Oprandi, Prodi e Antonello, e di Guerino Morandi detto Blitz, “lampo”, grandi artigiani della pellicola, figli di Alfredo Morbelli, che con la sua Leica diede alla città

un’immagine patinata di lusso borghese anni Trenta.
Cardenia non era fotografo di professione, ma un tifoso con la reflex, bravo e preciso, e le domeniche del Varese di Giovanni Borghi era dietro la porta, per mandare qualche scatto al giornale e altri tenerli per sé, stampe da sfogliare la sera con il figlio Dario, che lo accompagnava in campo tutto impettito, perché vedeva da vicino Zoff, Juliano, Riva, Rivera…

Il mitico Varese di Giovanni Borghi

Il mitico Varese di Giovanni Borghi

(Foto by Osvaldo Cardenia)

Aprire i cassetti fa male, perché il confronto tra quei giorni e questi è impietoso, quasi sempre, ma qui è devastante, non tanto per motivi di categoria, ma per il modo stesso di intendere il calcio, come una passione e non un affare, un’impresa corale, dove tutti si è uniti, dal magazziniere al presidente, e non un’esibizione di vuote singolarità, un mezzo per educare e far crescere calciatori e tifosi, non un contenitore di odio e menefreghismo.
Guardate queste fotografie, l’eleganza e la pulizia delle maglie, il pallone bianco a pentagoni neri, i giocatori asciutti come mezzofondisti, non gonfi di muscoli di vetro, le tribune che stanno su con i tubi Innocenti, e i distinti gremiti, la panchina di ferro troppo corta, il massaggiatore con il secchio e la spugna. Lo sport per lo sport, un po’ come l’arte per l’arte.

Pietro Anastasi combatte sul prato del Franco Ossola con al suo fianco tutto uno stadio

Pietro Anastasi combatte sul prato del Franco Ossola con al suo fianco tutto uno stadio

(Foto by Osvaldo Cardenia)

Allora, con papà e il nonno, si andava in curva, dove sciamava la città degli operai e dei piccoli commercianti, la domenica tutti con l’abito buono, molti baschi e qualche feltro, le radioline a transistor con quelle pile piatte e rettangolari e la loro custodia in finta pelle, le più belle con l’auricolare.

Qualche “Gazzetta”, copie de “Il biancorosso”, che poi si mettevano sotto il sedere per mitigare il gelo del cemento – non tutti avevano il cuscino del Varese – l’uomo dell’Amaro 18 Isolabella che passava, non si sa come, a distribuire mignon di liquori, compreso lo Stock 84 sponsor di “Tutto il calcio minuto per minuto”.

Il Grande Milan di Maldini, Rivera, Lodetti e Trapattoni

Il Grande Milan di Maldini, Rivera, Lodetti e Trapattoni

(Foto by Osvaldo Cardenia)

«Dumenica ca vegn, gh’è scià ul Milan», «chissà se ne càtum», «ier matina ho vist ul Picchi in Vares, el ma dit che incoeu almen un pari al portum a cà», erano i mozziconi di frasi che arrivavano tra un urlo e l’altro. «Quel lì l’è ul Miniussi, va ma l’è valt», ed effettivamente il futuro portiere di riserva dell’Inter e ora tra i pali del Varese era fuori misura per i tempi. In campo Leonardi e Sogliano, Pietruzzu sotto porta come uno squalo, Vastola e Tamborini e capitan Picchi impassibile, con quel volto senza tempo di toscano dalla scorza dura.
Al “Franco Ossola” passavano gli squadroni, il Cagliari di Riva, Cera, Rizzo e Longo, la Fiorentina di Albertosi e Merlo, la Roma di De Sisti e Losi, il Milan di Rivera, Lodetti e Maldini, l’Inter di Mazzola, Jair e del Mago, e quella Juventus di Heriberto umiliata nello storico 5-0.

Gigi Riva in azzurro sul prato di Masnago

Gigi Riva in azzurro sul prato di Masnago

(Foto by Osvaldo Cardenia)

Grazie all’occhio attento del sciur Osvaldo quegli uomini sono ancora con noi e ci sembra di vederli comparire come per magia dall’uscita dei vecchi spogliatoi sotto la curva, dopo che lo speaker aveva letto le formazioni e il dottor Ceriani, sbucato per primo, prendeva posto in panchina.

Nelle fotografie si leggono le vecchie insegne pubblicitarie: Bianchi confezioni, lampadari Pozzi, Cascone concessionario Alfa Romeo, gioielleria Emaldi fiduciaria Omega, la città era tutta allo stadio e in settimana in quei negozi, al caffè Firenze e al Pini si commentava la partita e si pregustava la prossima, cosa sarebbe capitato se avesse arbitrato “il Lo Bello”.

I raduni sociali del Varese al Bel Sit di Comerio

I raduni sociali del Varese al Bel Sit di Comerio

(Foto by Osvaldo Cardenia)

A quei tempi i giocatori erano come figli o ideali fidanzati, vestivano in giacca e cravatta ai raduni sociali e alle feste della squadra, non avevano procuratori e televisioni a ronzargli attorno, Beppe Viola intervistava Rivera in tram. Potevi incontrare il Borghi al Socrate e chiedergli tranquillamente: «Sa femm dumeniga?» «Vengium», era l’immancabile risposta.

FOTO IN ALTO: Juliano e Picchi, capitani di Napoli e Varese, spuntano dagli spogliatoi sotto la Sud