Il Varese non merita la vostra carità

Mentre in Comune si svolge l’incontro decisivo per le sorti biancorosse, ecco il nostro punto di vista: questa squadra non va salvata per grazia ricevuta. A questa squadra bisogna dare tutto.

Abbiate pietà di noi tifosi del Varese. Fateci morire in pace, non accanitevi.
Non illudeteci, non dite di essere “uno di noi” se nei fatti scappate quando c’è da mettersi una mano sul cuore e l’altra nel portafoglio. Non sfilate dal sindaco e neppure telefonategli, tanto un nome – bello o brutto – ve lo siete già fatto. Non riempitevi il petto con questa maglia se poi non siete capaci di metterla davanti alle vostre finanze,

ai vostri castelli dorati in cui vivete, ai vostri interessi bottegai. Non fate ridere i polli con pulciose e offensive elargizioni che intaccano patrimoni milionari fatte tanto perché vi stiamo pregando in ginocchio, se non ci credete davvero.
Tenetevi i vostri soldi, i vostri scranni in comune (non c’è un consigliere d’opposizione o un candidato alle elezioni che gridi allo scandalo per la morte d’una bandiera che fu di Giovanni Borghi, anzi qualcuno mette in bella mostra su Facebook muscoli da spiagge dorate e questo è davvero avvilente, non il tentativo disperato del sindaco Fontana abbandonato da tutti), i vostri affari, i vostri lidi, le vostre case, le vostre aziende e lasciate in pace questa povera squadra insieme ai suoi tifosi: un giorno ve ne pentirete, ma sarà tardi.
Almeno oggi andate avanti per la vostra strada e non incrociate più la nostra: non meritiamo di pregarvi e non meritate di commuovervi – o di essere obbligati a intervenire – se non sentite una vocina dal profondo, e dal passato, che ve lo dice.
Fate ciò che vi sentite, tanto non cambieremo idea su di voi nemmeno se interveniste all’ultimo secondo utile salvando una squadra e 105 anni di storia soltanto per farci la grazia: preferiamo morire in piedi sapendo di avere dato tutto, almeno noi, prima di raggiungere Peo Maroso, Roberto Verdicchio (non sapete neppure chi è, tanto meglio per lui), Natale Giorgetti, Sandro Masini, e non prima di esserci seduti per un’ultima volta sulla carrozzina di Alfredo Luini accanto alla panchina biancorossa, anche adesso che il vero e unico presidente del Varese è immobilizzato nel letto. Forse è giusto così: arriva la fine senza che lui possa vederla dalla piastrella occupata da cinquant’anni dalla sua carrozzina al Franco Ossola.
La parte più ridicola e patetica di queste ore d’agonia la stanno interprentando gli autentici signori nessuno che arrivano da fuori città e fuori provincia promettendo soldi che non hanno, figurarsi la passione e l’amore, solo perché convinti da amici o amici degli amici: restate lontani dal Comune, abbiamo già dato con libanesi. pakistani, iracheni, ex avvocati, venditori d’oro e di favole, dirigenti ma solo di se stessi e della propria vanagloria portati puntualmente in trionfo dai servi del potere, per poter sopportare anche voi, ultime ruote del calcio dilettantistico di provincia muniti di procuratori, squadre già fatte da allenatori immanicati, staff improbabili già scappati mille altre volte da altre mille squadre. Lasciate stare il Varese, statene alla larga: meglio una bara solo biancorossa e spogliata di tutto che un’agonia in serie D o in Eccellenza con chi vuole solo acquistare un contenitore per riempirlo di persone, qualunque sia il contenitore e chiunque siano le persone.
Il Varese non è la Pro Sesto, il Monza, il Lecco, la Solbiasommese (con rispetto), e chi ha già provato ad acquistare la Pro Patria o una qualunque di queste squadre perché mai dovrebbe farlo col Varese? L’amore, nella vita e nel calcio, non si compra. Non siamo la ruota di scorta di nessuno. Non siamo la seconda terza o quarta o quinta scelta.
Il Varese devi averlo voluto sempre (Sogliano), oppure non potrai averlo mai. Il Varese deve averti fatto soffrire, dannare, amare, tradire prima di poter anche solo pronunciare il suo nome davanti al sindaco.
Il Varese non è merce di scambio, non è riconoscenza politica (tu hai ottenuto questo da me, e io salvo quest’altro per te).
Il Varese non è una mercanzia da bancarella del calcio moderno. Il Varese non è un obbligo o un dovere ma un piacere, non è soldi, non vale centomila euro o un milione, ma nemmeno cento. Il Varese non ha prezzo e chiunque pensa che ne abbia uno non merita di partecipare neppure al suo funerale.
Il Varese è stato usato, violentato, sputtanato e abbandonato: adesso ha tutto il diritto di voltarvi le spalle e morire in pace, finalmente puro, solo con la sua storia e la sua maglia, senza mercenari o approfittatori nelle vicinanze.
Il Varese merita di andarsene all’altro mondo sapendo che il passare del tempo sistemerà i conti, e che la sua assenza sarà una presenza sempre più ingombrante sulla coscienza di chi resta. Passerà una settimana, forse un mese o magari un anno ma alla fine tutte le cose, e le persone, andranno al posto giusto, seguendone la fine.

Il Varese è la coscienza di questa città, e vi perseguiterà.