«Io, Enzo e Diego. Una famiglia folle che ama il Varese»

Storia di una famiglia biancorossa: l’intervista a Yvonne Rosa «L’amore è iniziato a Parabiago ed è cresciuto quando è arrivato Beppe Sannino»

Yvonne Rosa, fra le prime consorziate biancorosse e fedelissima doc, era in prima fila ieri mattina, all’inaugurazione della sede che il Varese ha deciso di offrire all’Associazione Tifosi. Nello stesso stanzone ricavato dal vecchio edificio che sta sotto la curva ospiti, c’era anche il fratello di Yvonne, Enzo: uno dei tre soci fondatori del Varese – insieme a Gabriele Ciavarrella e a Piero Galparoli – che è stato per almeno due decenni capo degli ultrà. Oggi vi raccontiamo la storia di una famiglia biancorossa.

La prima partita del campionato di Eccellenza: non di questo ma di quello del 2004. Avevamo vinto 2-1 in casa del Parabiago e c’era un grande entusiasmo.

Certo e mi dispiace di non aver potuto seguire anche prima il Varese ma per molti anni ho lavorato a Milano nel mondo della moda e non riuscivo materialmente a vivere tutte le domeniche dei biancorossi. E prima ancora andare allo stadio poteva darmi un po’ di tensione.

Mio fratello Enzo era il capo della curva e io e mia mamma Virginia ci preoccupavamo per lui. È sempre stato un bravo ragazzo e me lo ricordo nella nostra cantina di via Marzorati, impegnato per ore a disegnare gli striscioni da esporre allo stadio la domenica. Quello era il suo tempio: ci ha speso tantissime ore di fatica e di sudore per amore del Varese. Ma anche mia mamma si dava da fare per lui.

Non voleva che prendesse freddo allo stadio e realizzava maglioni e cappellini di lana rigorosamente colorati di biancorosso. Enzo si presentava così allo stadio, con queste creazioni di mia mamma che gli tenevano caldo.

Sì, Gualtiero è diventato don Diego e ora è abate generale della congregazione dei monaci benedettini.

Ha studiato teologia e filosofia.

A 14 anni ha sentito la “chiamata” ed è stato un anno in seminario ma i monaci ritenevano che dovesse tornare a casa per frequentare la scuola pubblica e i suoi coetanei, verificando la sua vocazione. Lui però ne era già pienamente convinto e ha deciso di trasferirsi a Monte Oliveto Maggiore. Ha fatto tutto lui e aveva appena 16 anni: in Toscana ha compiuto gli studi classici e poi ha preso i voti. È stato a San Miniato, poi ad Haiti, per sostituire un monaco che era morto di appendicite. Ora è l’abate generale e gira per il mondo, un po’ come il papa…

Una peste. Sognavo di fare la ballerina e adoravo i miei nonni: Lucia e Fonso. Abitavamo nel bresciano, a Borgo Poncarale. La mia infanzia è stata indimenticabile e l’ho passata in mezzo ai prati che mio nonno lavorava, prima di prendere un caseificio. Da piccola prendevo per mano don Diego – pardon il mio fratellone Gualtiero – e camminavamo in un fosso alla ricerca dei sassolini bianchi che portavamo dai nostri nonni, dove andavamo per la merenda. Facevamo a gara a chi ne raccoglieva di più. Se ora mio fratello è un abate, all’epoca era decisamente molto dispettoso…

Ed è diventata la nostra casa. A mio fratello Enzo è entrato subito il Varese nel cuore.

Sì e l’amore è iniziato a Parabiago e poi è cresciuto quando è arrivato Beppe Sannino. Ho incominciato a sponsorizzare la squadra, offrendo anche le divise per i dirigenti. Poi mi sono allontanata perché non credevo più nella società, che in effetti ha portato il Varese al terzo fallimento della sua storia. Ma adesso si respira l’aria giusta. Anche grazie a mio fratello: credo molto in lui perché lo conosco più di chiunque altro e so che è una persona onesta, innamorato dei colori biancorossi. Siamo tornati indietro nel tempo e il Varese è di nuovo una famiglia.

Un sapore squisito nel cuore. Siamo partiti in pullman, abbiamo portato tante sciarpe biancorosse e abbiamo anche mangiato in un ottimo agriturismo. Mi sembrava di rivivere l’atmosfera delle mitiche trasferte vissute a Pagani e a Benevento nel 2010, quando il Varese rincorreva la Serie B. Ma lo spettacolo non è solo fuori: al Franco Ossola è uno spasso e io sono sempre seduta al seggiolino numero 120 della tribuna laterale sud. Non lo lascerei per nessuna ragione al mondo. E poi lì, vicino a me, ci sono tante amiche, come Andrea Laubheimer e Veruschka Guerra.

A Capelloni, che è un bresciano come me. Ma anche a Marrazzo e Luoni: passano sempre in negozio a salutarmi.

Si stanno facendo le cose con il cuore e con il buon senso. Lo so perché vedo come lavora mio fratello Enzo. La strada è lunga ma se si parte da questi presupposti si arriva lontano.