Marco Rossi scrive la sua storia. «Mio nonno, il Toro e l’Honved»

Disgustato dall’Italia, l’ex mister della Pro insegue l’Europa alla guida della mitica squadra di Budapest

«Se fossi rimasto in Italia sarei ora a lavorare nello studio di commercialista di mio fratello, a fare manovalanza. Per fortuna sono venuto in Ungheria dove posso allenare, fare il mestiere che mi piace e per il quale penso di avere le capacità».

Sono le crude parole di Marco Rossi, allenatore della mitica Honved di Budapest, a sorpresa in testa alla classifica della serie A magiara in compagnia di Vasas e Videoton e con 4 punti di vantaggio sul Ferencvaros, formazioni molto quotate e con «un budget dieci volte superiore al nostro». Oggi riprende la terza e ultima parte del campionato e, «già che siamo lì, tentiamo di proseguire il cammino fatto finora per giocarci un posto in Europa, pur sapendo di avere una squadra giovane e di essere andati oltre le aspettative».

In riva al Danubio l’ex allenatore della Pro Patria ha trovato la sua dimensione che stava cercando con tutta la sua volontà dentro i confini tricolori, ma «in Italia la meritocrazia purtroppo non esiste», commenta un amarezza. E racconta:«Dopo che lasciai la Pro nel 2008 andai allo Spezia in serie D, era l’anno zero dell’era Volpi, fui promosso in C2, ma non fui confermato. Decisi di trasferirmi al sud(la moglie è di Pozzuoli ndr);

accettai la proposta della Scafatese e la salvai senza playout in condizioni logistiche e societarie che dire disastrose non rende l’idea. Andai poi alla Cavese e qui (società assente) senza motivo, trovai un ambiente ostile da subito fino al punto da sputare a mia moglie in tribuna nonostante avessimo cominciato il campionato con sette punti di penalità e stavamo andando discretamente. Mi dimisi e dissi che non avrei mai più allenato al Sud. Nell’anno che rimasi fermo ricevetti tre proposte, ma mi dissero che per allenare, in serie C, avrei dovuto pagare. Fui schifato. Purtroppo so che in Italia succede anche questo. Preferii stare lontano dal calcio pensando appunto ad un altro lavoro».

Ma una gita galeotta «da un amico, che ha un ristorante a Budapest, mi permise di conoscere casualmente l’ex direttore sportivo della Honved. Arrivò una proposta e cominciai nel 2012 superando un turno eliminatorio di Europa League, eliminati successivamente dai russi dell’Anzhi, squadra di Eto’o e Roberto Carlos arrivata poi alle semifinali; in campionato poi andammo bene».

E questo biglietto da visita consentì a Rossi di essere accolto come “uno di noi”. Con un mix di orgoglio e, perché no, anche di commozione, Rossi evidenzia «il bel rapporto che ho con i tifosi, gente molto passionale e mi sono trovato benissimo perché a me piace la partecipazione. Sono cresciuto con dentro lo spirito del Torino: ho cominciato dai Pulcini e sono arrivato fino alla prima squadra. Ho giocato nelle giovanili al Filadelfia, ci cambiavano nello spogliatoio di Mazzola, Loik, Bacigalupo e percorrendo il tunnel che ci portava al campo ho immaginato tante volte che accanto a me ci potessero quei grandi campioni. Al Toro – racconta Rossi – mi aveva portato mio nonno e mi parlava del Grande Torino ed anche della Honved, una squadra che aveva fatto la storia del calcio ungherese. Allenarla è stato come se qualcuno avesse disegnato la storia per me».

Fu subito amore con la Honved, ma l’esperienza fu breve «tanto da pensare di aver concluso il mio breve ciclo». Invece «mi richiamarono a febbraio 2015, la squadra era penultima ed aveva cambiato quattro allenatori. Mi misi al lavoro e ci salvammo all’ultima giornata. L’anno scorso siamo arrivati settimi, ma ciò che mi chiede la società è la valorizzazione della cantera. La dote che ho portato alla Honved sono gli anni che ho allenato in Italia ed i principi tattici che mi hanno trasmesso allenatore che ho avuto come Bielsa, Lucescu ed Eriksson. In Ungheria mi viene riconosciuta questa qualità e non posso negare che questo aspetto mi faccia molto piacere».

Durante la sosta li ha fatti ripassare ai suoi giocatori e da oggi vanno, lì, sul campo, per sognare l’Europa.