«Mister, Peo se n’è dovuto andare via per farti arrivare su quella panchina»

Varese Calcio - A tu per tu con Virgilio Maroso, parlando dei cambiamenti al Varese e della prossima Serie D

«Qui a Roma sono tutti fuori. Per loro esistono solo due squadre: la Roma e la Lazio. E, quando parlo ai miei colleghi del Varese, mi chiedono: “È la squadra del brasiliano?” Sì: si ricordano del Varese e di Neto Pereira… anche se noi, non siamo solo quello». A parlare è Virgilio Maroso. E, possiamo solo immaginare cosa possa passargli nella testa quando gli tocca rispondere a certe domande: proprio lui, che porta quel cognome. Un cognome che,

a queste latitudini, parla da solo: dici Maroso, dici Varese.Solo un sorriso. Basterebbe solo quello per dire tutto. Lo stesso del Peo, che oggi si riflette sulle labbra di Virgilio, per rappresentare la grandezza di una maglia; la grandezza della maglia biancorossa.
Una storia ciclica, la nostra, che si ripete anno dopo anno: che riparte ogni estate, per morire quella dopo: «Siamo qui, pronti. Pronti a vivere una nuova stagione, dopo quella della rinascita dell’anno scorso, e dopo la piccola rinascita di qualche mese fa». Già, una rinascita dovuta alla rivoluzione interna che la società ha vissuto, e da poco chiuso.

«Non me lo sarei aspettato mai, devo essere sincero. Non credevo che due dei tre fondatori potessero defilarsi dalla gestione di quella che è una loro creatura. Non entro nel merito, perché le ragioni – immagino – siano tante, diverse e giuste, ma il cambiamento c’è stato ed è innegabile. Lo stesso cambiamento che ha portato Paolo Basile a scalare i vertici societari; a caricarsi sulle spalle il peso del Varese». Un peso enorme, quasi come la montagna sotto la quale germogliano, ogni primavera, i fili d’erba del Franco Ossola.
«Dobbiamo concedere a Basile la nostra fiducia: facciamolo per il bene del Varese. È ovvio che chi ama la maglia- come me, e come voi – si sia fatto, e abbia fatto delle domande, abbia chiesto spiegazioni, ma oggi bisogna guardare avanti». Guardare avanti con un occhio, e con l’altro dietro, per onorare quella che è stata la storia dei colori, e la filosofia che c’è dietro un pallone che si infila in fondo alla rete della porta davanti alla curva nord. La curva del Peo. «A Basile, e agli altri manager, posso dare un solo consiglio: la storia di mio papà insegna che per far parte del Varese, anche da dirigenti, bisogna essere tifosi tra i tifosi. Non devono esistere personalismi: per questo il Peo si sedeva in un angolo della tribuna, perché non era sopra gli altri, era con gli altri; bisogna ricordarsi sempre di essere persona tra le persone. Come lo sono stati Beppe Sannino e Rolando Maran».

Una squadra e una società, racconta Virgilio, da «elmetto in testa e via andare a lavorare». Una squadra e una società di lavoratori operai: questa è da sempre la forza dei biancorossi, e della gente che segue e ama questi colori. L’amore che va oltre il risultato, oltre le promozioni conquistate, oltre i titoli vinti. L’amore che non ha bisogno di spiegazioni per esistere. Lo stesso che ha guidato Peo Maroso; lo stesso che ha guidato i fondatori l’estate scorsa; lo stesso che guiderà mister Ramella sulla panchina del Varese. «Vedere Ernestino sedere su quella panchina, per me, sarà un piacere. Ricordo che mio papà, a metà degli anni 90, avrebbe voluto vedere Ramella allenare il Varese. E più volte si è trovato a chiedere che dessero la squadra nelle sue mani. L’anno scorso, prima del fallimento, ricordo la conferenza stampa di Ernestino: stava per realizzare il suo sogno e quello di mio papà – anche se poi non se ne fece più nulla per ovvi motivi. Gli dissi, scherzando: “Hai visto? È dovuto andare via il Peo, per farti arrivare lì”». Alla guida di una squadra, chiamata da dirigenza e tifosi, all’impresa: tornare nel calcio che conta, quello dei professionisti.
Un’impresa perché la Serie D, non è l’Eccellenza. No: è una nuova C2, visti i club e i giocatori che ci giocano. «L’anno scorso Melosi è partito in ritardo, e sappiamo il perché. E, forse giustamente, visto il parco giocatori che aveva a disposizione all’inizio della stagione si è affidato quasi esclusivamente alle invenzioni dei singoli, e alla classe di ragazzi come Marco Giovio. Solo dopo abbiamo visto il gioco. Quest’anno, invece, non può essere così: il gruppo già c’è, e a questo si sono aggiunti grandi giocatori. Ramella dovrà creare fin da subito uno spirito di squadra, a cui donare il proprio credo tattico: solo così potremo ambire al lottare per la promozione».

Un mostro infame che si chiama Serie D aspetta il Varese, a fauci spalancate. Un mostro che ha almeno quattro o cinque corazzate a girone. «Questa categoria non è una passeggiata, ci troveremo di fronte a partite vere. L’anno scorso potevamo contare su un plotone d’esecuzione schierato in campo con i carri armati, l’anno prossimo saremo una buona squadra, ma non una corazzata. Proprio per questo sarà fondamentale tornare alla mentalità del Varese: la mentalità dei combattenti. Quella di chi muore sul campo. Poi è chiaro che arriveranno anche le sconfitte e le serie di risultati negativi: ce lo aspettiamo tutti. Ma, il primo grande segreto per provare a passare di categoria è il pubblico. La gente del Varese sa essere il dodicesimo uomo in campo, sa spingere la palla in porta quando serve: questa forza che solo in pochi altri hanno».
Un campionato, quello che troveremo a settembre, che non ammette rilassamenti o distrazioni, ma che non deve e non può però spaventarci, dice Virgilio Maroso, sorridendo: «È vero: a prescindere dal girone in cui finiremo, ci troveremo ad affrontare tante squadre che stanno facendo un mercato importante. Un mercato per provare a vincere il campionato. Questo è un dato. L’altro, invece, è che alcune di queste si troveranno a fare una stagione sotto le aspettative, fallimentare, diciamo. Mettiamo che per ogni girone ci siano cinque corazzate, e noi possiamo finire nell’A o B, vuol dire che in totale saranno una decina di pezzi grossi. Bene, sei o sette di questi si sgonfieranno come bambole gonfiabili, perché la matematica parla chiaro: non tutti possono fare gli stessi punti e qualcuno dovrà rimetterci. Mister Ramella dovrà essere bravo a creare una squadra da combattimento, per conquistare più punti possibili e non farci finire tra le formazioni fallimentari. Lui è uno che non molla mai e sono sicuro che non lascerà facilmente punti per strada».

Soprattutto nelle partite che contano. Soprattutto nei derby, che non mancheranno: Pro Patria, Legnano, Varesina e, per come si stanno mettendo le cose, anche il Como. «Spero che se il Como dovesse ritrovarsi con noi in D, lo mettano nel nostro girone e che non vietino la trasferta. La federazione non può cancellare la storia di due città rivali per la paura degli scontri: deve garantire il regolare svolgimento della partita e far sì che quello sia un giorno di festa. Vedere un Varese-Como con il Franco Ossola pieno, sarebbe stupendo, un sogno. Pensate se vietassero la cosa: come spieghereste a un bambino della scuola calcio che non si gioca una partita solo per paura?»