«Non piangevamo per lo scudetto perso ma solo per il Meo»

Enzo Rosa, ex capo dei Boys, e un lenzuolo storico: «Lo striscione per lui del ’90 forse è ancora appeso. Non è “solo” Sassari. È la squadra di Sacchetti. Il figlio Brian dirà: “Papà, adesso ti ho vendicato”»

– 24 maggio 1990, gara 2 di finale scudetto tra Varese e Pesaro a Masnago. La Varese di Giancarlo Sacco è appesa al talento di Meo Sacchetti, al secolo Romeo. Quella sera però, l’urlo di dolore di Meo accende il silenzio del palazzetto. Un ginocchio si spezza, calano le luci, finisce la speranza.
Enzo Rosa quella sera era in curva, come sempre, e assieme a tanti altri capì tutto subito. Era finita, in quel momento. Lo scudetto di Sassari ha chiuso un cerchio, per Meo e per tutti i varesini che piansero a Masnago quella sera.

Credo che per Meo e per tanti altri tifosi come me, sia stata fatta giustizia.
Leggo tantissime persone che venerdì subito dopo la sirena di Gara 7 hanno pensato a quel 24 maggio del ’90. Quello era uno scudetto che era già nostro, ce lo sentivamo in tasca, era l’anno giusto per noi e per Meo. Mi piace pensare che una parte di questo scudetto sia un po’ anche nostra.

Meo è sempre stato un signore, sia in campo che fuori, caratterialmente mi ricordava un po’ Aldo Ossola. Mai particolarmente emotivo, non cercava di accattivarsi il pubblico e non faceva trasparire spesso l’emozione.
Quella sera venne fuori tutto il suo lato umano, vederlo piangere all’ingresso del tunnel fu un colpo per tutti quanti, penso che la maggior parte della gente al palazzetto quella sera si commosse.

Più o meno sì, anche se quando sei al palazzetto ci speri sempre, ci sono delle situazioni in campo che ti fanno dimenticare il resto.
Però il pubblico sapeva benissimo che la nostra arma migliore era lui, per esperienza e per rendimento. Dava i tempi alla squadra, sapeva leggere benissimo la partita, era di un’altra categoria veramente.

Assolutamente sì. Non fui io a prepararlo, ma altri due ragazzi della curva, me lo ricordo benissimo.
L’idea venne ad alcune ragazze che stravedevano per lui, perché vedere uno come Meo uscire dal campo in lacrime ci aveva turbato tutti. Era sconfortato, il suo era un atto d’amore. Così lo striscione voleva fargli capire che tutti eravamo con lui, e che quell’appuntamento con lo scudetto avremmo potuto rimandarlo ad altra data. Rimase su tantissimo tempo, qualcuno iniziò anche a firmarlo con il pennarello. Meo è stato uno dei pochissimi che Varese ha amato alla follia, per questo il suo legame con Varese non sarà mai banale.

Certo, e sono contentissimo per Meo, perché è un allenatore che sa trasmettere i suoi valori, gli stessi che abbiamo apprezzato a Varese quando era giocatore.
Mi piace notare che Sassari venga riconosciuta come la squadra del Meo e non solo come Sassari in sé, è sintomo del fatto che la sua figura emerge.
Non sono solo i giocatori ad aver vinto lo scudetto, e sono convinto che se molti di loro andranno via, Meo sarà in grado di vincere e di far bene anche con un nuovo ciclo. Anche se avrei voluto vederlo sulla panchina di Varese, so che ha avuto dei contatti di recente. Io non mi sarei fatto sfuggire l’occasione. Sarebbe stato bellissimo.

Sì, e mi ha fatto tornare alla mente un aneddoto risalente sempre a quel 1990.
Quando Meo tornò a casa, praticamente ancora in lacrime, Brian lo accolse in casa e gli disse: «Papà non piangere, vedrai che lo scudetto te lo porto io». E quell’abbraccio è bellissimo, dopo 25 anni chiude il cerchio. Padre e figlio vicini, in un cuore solo. Era come se Brian volesse dire: «Papà, te l’avevo promesso, ora ti ho vendicato veramente». Queste sono storie che solo uno sport bellissimo come il basket ci può regalare.