Openjobmetis dietro alla lavagna

Ecco le pagelle di metà campionato, media dei voti di ogni singola partita: solo in tre sopra la sufficienza

Quindici partite, quindici voti, una media che li riassume. Il girone di andata è finito e questi sono i risultati aritmetici de La Provincia di Varese nel “mezzo del cammin” biancorosso: tre promossi e nove bocciati, conseguenza di un ultimo posto in classifica da cancellare il prima possibile.

Undici partite giocate, ma solo sei di queste hanno davvero meritato un voto: è per tale motivo che Ferrero risulta il migliore del gruppo. Paolo Moretti lo ha letteralmente escluso dalla sua gestione: nella bulimia di cambi, cifra stilistica del coach toscano, il lottatore di Bra non è quasi mai stato contemplato. Con Caja altra storia: tre match in cui è stato il migliore in campo per grinta, voglia di fare, spesso anche per efficacia. È il pretoriano di “Artiglio” (da “3” e pure da ”4”) e la sua eterna battaglia contro i suoi limiti (tecnici, mai mentali) è un piacere che tutti sperano di assaporare nel girone di ritorno. Una prece, Giancarlo: cancelliamo quello 0% da tre punti. Al più presto.

Quello preso per gli allenamenti, quello che non doveva nemmeno “fare” la squadra… Gli allenamenti continua tutt’ora a farli e la squadra pure: menomale, aggiungeremmo. L’esperienza (non potrebbe essere altrimenti) lo ha sempre salvato e talvolta ha salvato anche Varese. Clamoroso, a dispetto dell’età, che sia spesso sembrato atleticamente più pronto di compagni che anagraficamente potrebbero essere suoi figli. Con undici punti ha marchiato a fuoco la vittoria contro Reggio, l’ultima gioia biancorossa in serie A.

Il miglior rimbalzista del campionato? C’è. E fermiamoci qui, per favore: perché altrimenti bisognerebbe andare a chiedere a un coach nato ad Arezzo perché volere O.D. come centro titolare, visto che pregi e difetti dell’ex Pesaro erano noti a tutti fin dall’estate. Allo stesso Moretti, nell’occasione, andrebbe anche chiesto perché far giocare il titolare di cui sopra solamente 25 minuti di media: Anosike ha sofferto, e tanto, quei cambi con il cronometro in mano. Con Caja in panchina sta ritrovando continuità, provando (anche grazie a un sistema difensivo diverso) a incidere anche dietro. P.S: per farlo compiutamente non dovrebbe avere Maynor davanti a lui, Ça va sans dire…

Uno dei più costanti, uno dei più produttivi, ma anche uno degli errori (a nostro giudizio) fatti sul mercato da Moretti e dalla società (in tale, rigorosissimo, ordine). Un’ala piccola con il 26% da tre in carriera (cifra complessiva dei 3 anni trascorsi in Italia) nel 2016 non può circolare in Europa (ovvero in un basket fatto di aree chiuse, pick and roll e circolazione perimetrale) a meno che si inserisca in un tessuto tecnico con meccanismi collaudati –

capaci di esaltarne la potenza fisica e l’atletismo – e dotato di altre bocche da fuoco principali. Nella Openjobmetis della seconda parte del 2016 il pur encomiabile Christian è stato un lusso inservibile e a volte pure dannoso, dovendo spesso portare la croce di una responsabilità offensiva primaria (complice la latitanza dei sodali intorno a lui), ma facendolo nell’unico modo per lui possibile: attaccando il canestro con iniziative personali e fermando la fluidità dell’attacco. Scritto questo, il suo impegno non è mai stato in discussione: tre sole, vere, macchie (Pistoia, Cantù e soprattutto Trento). Con Caja si difenderà (fondamentale in cui l’aiuto del congolese non manca quasi mai) e si correrà di più? Bene, sarà eventualmente l’unica pallacanestro in grado di sdoganarlo con efficacia.

Sette partite giocate, sparito dal radar dopo la trasferta di Pesaro e mai più ricomparso. Giocatore imprescindibile, perché dotato di abilità sconosciute agli altri compagni di reparto: finché ha resistito con il ginocchio che si ritrova, problema che per il secondo anno di fila lo ha costretto a fermarsi ai box in pieno gran premio, ha alternato dimostrazioni plastiche della sua utilità a prove impalpabili che hanno suscitato annosi interrogativi: è un’ala o un centro? Lo fa il salto di qualità o no? È un di più (partendo da rincalzo, in particolare) che gli altri non hanno o non vale la pena di un investimento importante (appunto perché rincalzo)? Una delle medie “migliori” del gruppo (anche qui contano le poche partite) dà la risposta: la speranza è sempre l’ultima a morire. Siamo curiosi di vederlo sotto la cura Caja.

Mancavano i punti? Lui li ha portati (17,5 contro i 9 del suo omonimo predecessore), sbagliando a livello di “stats” solo la partita contro Cremona. A non convincere sono le pause (tre gare su quattro le ha “sistemate” a giochi fatti) e la sua ritrosia a prendersi responsabilità fuori dal copione. Ecco: se sognavate un attaccante creativo dal palleggio, anche con lui avete sbagliato sogno.

Voti di Aleksa nelle prime quattro giornate: 6, 7, 8, 6. Voti delle ultime sei: 4,5, 5,5, 5, 5, 4, 6. In mezzo c’è un 9 (Pesaro, gara vinta grazie alle sue prodezze) e una progressione, lenta ma inesorabile, verso il basso. Inevitabile che andasse così con un 22enne costretto a navigare in acque così agitate come quelle biancorosse. Avramovic è un talento, forse sopravvalutato a livello balistico, ma è un talento vero: quest’estate ci si dava i pizzicotti dall’incredulità per aver finalmente tra le fila un elemento giovane, futuribile, slavo e firmato con un contratto pluriennale. Ora non si smetta di credere in lui. Lo si allevi da playmaker, perché questo è anche il suo obiettivo personale, e si usi tanta pazienza: i frutti arriveranno, nel finale di stagione e nel prossimo anno.

Apporto insufficiente, ma – apriti cielo – aritmeticamente non è il peggiore. Alterna prestazioni anonime, sconfortanti, inutili e fastidiose a perle (rare, rarissime) che non possono non regalargli voti ben superiori al 7 (vedi Brindisi, il derby contro Cantù e la vittoria contro Reggio Emilia). Quando si accende, fa le fortune della Openjobmetis, come da programma del resto: lo si sapeva da quando il suo nome è stato annunciato, l’unico dubbio era verificare sul campo se la sua sarebbe stata una scommessa vinta o persa. Per ora è persa: persa nella sua indolenza (e indisposizione) difensiva, persa nella sua incostanza di rendimento, persa nella sua leggerezza di spirito. Cambiarlo? Più costruttivo lavorarci ancora sopra: con Caja, forse, è possibile. Con una partita a settimana forse lo ritroveremo. E se lo ritroveremo, ci salveremo. Una curiosità non nota a tutti (a volte basta leggere…): le statistiche della sua parentesi 2014/2015 e quelle del campionato attuale sono quasi identiche (all’appello mancano un paio di assist di media e c’è qualche palla persa in più). A fare tutta la differenza del mondo c’è di mezzo una Champions…

Finiti gli “ooohh” ai suoi balzi tridimensionali (che siano per schiacciare o stoppare, specialità nella quale rimane uno dei migliori interpreti mai ammirati in Italia), ecco il giocatore: grezzo (eufemismo), povero tecnicamente, ingenuo anche nelle sue qualità atletiche, tutto da costruire. Al comando, ora, c’è un allenatore che in pochi mesi ha insegnato a Jefferson a giocare a basket: si proceda. E Pelle, bisogna dargliene pieno atto, è uno che ascolta.

Maledetto precampionato, con tutte le sue bugie: «Johnson non solo sa tirare, penetra anche che è un piacere». Balle: la percentuale da 2 punti è lì a dimostrarlo. Nulla ha potuto il “rookie”, tiratore senza che venissero costruiti tiri per lui e per giunta equivocato come realizzatore senza averne capacità e spirito. Perso subito per strada, velleitari i tentativi di recuperarlo: cambio inevitabile.

Un inizio da eroe (con Brindisi la vince lui), un prosieguo da tregenda. Che ha pagato un sovraccarico di impegni che evidentemente non è stato gestito a dovere: uno come Kangur ha bisogno di allenarsi, non – invece – di allenarsi poco con la giustificazione che le partite sono troppe. In questo limbo (lo preservo, ma non lo alleno) la sua resistenza non è mai stata costruita, e lui è naufragato nel non riuscire a dare con la sola intelligenza cestistica il contributo che si attendeva. Dov’è finito il “facilitatore”? Tornerà con una partita alla settimana e partendo dalla panchina: vedrete che il disastroso dicembre resterà solo un brutto ricordo.

Il peggiore, soprattutto perché capitano della squadra: più alto in grado sei, più responsabilità devi avere. E di Daniele non è mancato solo il sostanziale apporto fatto di punti, pericolosità offensiva ed efficacia difensiva (il suo eterno tallone d’Achille): ha dato anche l’impressione di abdicare dal ruolo di guida morale dei compagni, compito ingrato e difficile nelle torri di Babele che oggi ci fanno passare per squadre, ma imprescindibile in una stagione difficile come questa. Scriviamo di impressione, di atteggiamenti, di sensazioni, perché nello spogliatoio non abbiamo le chiavi per entrare. Ha un intero girone di ritorno per smentirci, magari ipotizzando un altro salvifico carro con divieto d’accesso per provocatori e miscredenti: l’anno scorso, ancora un po’, ci scappava una coppa…