«Pantani fu assassinato. Lui sarebbe morto in bici»

Francesco Mura, direttore di “Delitti&Misteri”, e le verità taciute. «Da Campiglio alla fine, passando da Vallanzasca: solo buchi neri»

«Sono fermamente convinto che Marco Pantani sia stato assassinato – dice Francesco Mura, direttore della rivista Delitti&Misteri, che per prima ha dato notizia della riapertura del caso e che, nel numero in edicola, svela i segreti che si nascondono dietro la morte del campionissimo romagnolo – Era un campione abituato al sacrificio e alla fatica. Se avesse voluto uccidersi sarebbe salito in sella alla sua bicicletta e si sarebbe lanciato giù da una montagna, senza freni». «Ci sono mille buchi neri in questa storia» continua Mura.

Partiamo dal fatidico 5 giugno 1999 a Madonna di Campiglio, prima dell’ultima tappa del Giro di Italia. Quando, a un passo dal traguardo, a Pantani viene prelevato il sangue per un controllo. «Alle 7,15 del mattino, nella stanza del Pirata, si presenta l’ispettore medico dell’Uci Spinelli insieme a due colleghi dell’Uci, per effettuare i controlli, oltre allo stesso presidente dell’Uci Coccioni – racconta Mura – Molti corridori, in seguito, racconteranno che quella mattina c’era tensione, si respirava un’aria

strana. Perché si chiedevano, per un normale controllo si è mosso il quartier generale al gran completo? Davanti alla porta di Pantani, prima che arrivassero i medici, sostavano due energumeni che poi si scoprirà essere due agenti dei Nas, cosa questa altrettanto strana».
«A fare discutere anche il fatto che i due medici – prosegue Mura – si sono messi la fialetta con il sangue in tasca anziché riporla in un contenitore refrigerato. Dalle analisi risulterà poi un ematocrito al 52 percento, un punto percentuale sopra il massimo consentito. Una variazione così minima avrebbe potuto essere causata dal caldo della fiala messa in tasca, ma anche dall’alta quota. Due fattori importanti che non furono presi minimamente in considerazione. Forse perché era tutto organizzato? Una domanda, questa, che attende ancora una risposta esauriente».
Ma Pantani si dopava? «L’analisi sul midollo spinale è stata la prova certa che confermerà che in quegli anni il Pirata non assumeva stupefacenti» dice Mura.

Sull’esclusione dal Giro proprio nella penultima tappa aleggiano pesanti sospetti che riportano a organizzazioni criminali e giri di scommesse. Qualche giorno prima del 5 giugno 1999, René Vallanzasca, in carcere, viene avvicinato da un detenuto che gli consiglia di scommettere tutto su Gotti, dato 2,5 o su Jalabert (dato a 4 o poco meno). «Pantani – disse il detenuto al bel René – non vincerà il giro». Secondo Mura questa è uno dei passaggi cruciali dell’intera vicenda: «Per proporre a Vallanzasca, che all’epoca era uno che contava parecchio in carcere, una scommessa di quel tipo bisognava essere davvero sicuri dell’esito, altrimenti vi lascio immaginare le conseguenze. C’è allora da chiedersi: da cosa derivavano tutte queste certezze?».

Infine l’epilogo. Il 14 febbraio 2004, Marco Pantani, cinque anni dopo la squalifica dal giro, con problemi di droga e di depressione, viene trovato morto. «L’inchiesta, condotta in modo approssimativo, si chiude in soli cinquanta giorni con l’archiviazione: “suicidio per overdose”. Il modo in cui sono state condotte le indagini è sconvolgente – spiega Mura – Basta pensare solo alle persone che quel giorno sono entrate nella stanza di Pantani, senza protezione, inquinando la scena del crimine. Per non parlare poi di quella bottiglia sporca di polvere bianca, con impronte digitali mai rilevate. Poi ci sono le ferite, le mani del campione piegate a protezione del viso, la pozza di sangue vicino la testa e tanti altri elementi mai presi in considerazione. Facendo un passo indietro, qualcuno dovrà ora spiegare come mai le telefonate di richiesta di aiuto che Pantani rivolge alla reception del residence in cui si trovava sono rimaste disattese».