Quando Varese ha lottato davvero

Due retrocessioni, ma anche tante cadute evitate: ecco la storia che la Openjobmetis di Caja deve imitare

Pallacanestro Varese, storia di successi inimitabili e di… lotte per non morire. In quasi 72 anni di vita, le stagioni in cui la squadra di pallacanestro cittadina ha dovuto tirare fuori le unghie per non abbandonare il massimo campionato si contano abbastanza facilmente e vanno ricercate nell’ultimo quarto di secolo, ovvero al tramonto dell’età dell’oro che ha portato in dote scudetti e coppe.

Cosa insegna la maestra di vita per antonomasia? Fondamentalmente che nelle bagarre per salvarsi Varese ce l’ha sempre fatta: le due inopinate retrocessioni della sua epopea sono arrivate attraverso due strade antitetiche, ma mai al culmine di una battaglia serrata nelle ultime giornate di stagione regolare.

La prima retrocessione, anno di “disgrazia” 1991/1992, si materializzò infatti ai playout, omologhi dei playoff ma con in palio la sopravvivenza al posto della gloria: si trattava di gironi (due per l’esattezza) all’italiana (quindi con partite di andata e ritorno) con sei formazioni ciascuno, composti dalle squadre classificate dall’11° al 14° posto di serie A1 e da quelle classificate dal 3° al 10° posto in A2. Per rimanere in prima serie l’obiettivo era quello di conquistare le prime due posizioni di quei mini-campionati: ce la fece la Ranger di Giancarlo Sacco nel 1990/1991,

undicesima al termine della stagione regolare, che riuscì a tenere dietro di sé Arese, Livorno, Reggio Emilia e Brescia, mantenendo un posto al sole insieme a Pavia (stesso suo girone), Trapani e Forlì. Come anticipato, la Ranger dell’anno successivo non fu altrettanto brava: anch’essa undicesima dopo le prime 30 partite, passata in corso d’opera da Virginio Bernardi a Roberto Piva, la squadra che schierava tra le sue fila un “crack” come Reggie Theus nei playout fu superata da Rimini e da Venezia, scivolando all’inferno.

La seconda discesa, stagione 2007/2008, fu l’epilogo di un campionato straziante e sempre vissuto guardando tutti dal basso all’alto. I prodi della triade Mrsic/Vescovi/Meneghin, affidati successivamente a Valerio Bianchini, si installarono all’ultimo posto della classifica all’8° giornata di andata, dopo la sconfitta casalinga contro l’Eldo Napoli: la maglia nera diventò solitaria alla 15° (sconfitta in casa di Siena) e tale rimase fino alla fine. Due erano le retrocessioni previste da regolamento quell’anno (su sedici partecipanti): Varese abbandonò aritmeticamente ogni speranza di salvezza a sei giornate dalla conclusione, sconfitta in casa nel derby contro Cantù.

Fu invece un campionato combattuto quello del 2000/2001. Esonerato Federico Danna dopo 11 gare (solo due le vittorie conquistate), con la missione di salvare la baracca arrivò Gianfranco “Dado” Lombardi. A trainare il gruppo c’erano Pozzecco e Vescovi, a inverno inoltrato giunsero i rinforzi Geno Carlisle (al posto dello scadente Herbert Jones) e Tim Nees, ma – nonostante tutti i cambi – alla 12° giornata di ritorno (sconfitta da Montecatini) Varese è ancora ultima, peraltro con la folta compagnia di Imola, Cantù, Rimini e Reggio Calabria. Le retrocessioni sono due, bisogna cambiare passo e i Roosters lo fanno: battono in successione Reggio Calabria, Milano e Trieste, mettendosi a distanza di sicurezza dal penultimo posto e rendendo ininfluenti le ultime due sconfitte contro Treviso e Roseto.

Altra lotta nel 2004/2005, quella della Castigroup che abbandona per strada Giulio Cadeo per mettere sul carro il campione olimpico Ruben Magnano. In campo ci sono Meneghin, Nolan, Bolzonella, Becirovic, Farabello e Digbeu, l’aggiunta in corsa è quella del centro Ffriend: dopo una serie di sconfitte consecutive (5, dall’8° alla 12° di ritorno), Varese si mette nei guai, arrivando a 4 punti dall’ultimo posto (e dal penultimo) a cinque giornate dalla fine. Decisive sono le vittorie sprint contro Livorno e Reggio Emilia in casa, quest’ultimo match risolto con una bomba proprio di Digbeu allo scadere.

Freschi nel ricordo sono il 2014/2015 e il 2015/2016, con una sola retrocessione in “palio”. L’anno del passaggio da Pozzecco ad Attilio Caja la Openjobmetis si trova penultima a 5 punti da Caserta dopo la 5° giornata di ritorno (debacle a Trento): la cura di “Artiglio” funziona (sei vittorie nelle successive 10 partite), la salvezza non entra mai davvero in discussione. Così l’anno scorso: il punto più basso toccato dalla truppa di Paolo Moretti è il penultimo posto, a due lunghezze da Torino, prima della sfida proprio contro i piemontesi alla 6° giornata di ritorno. Come andò da lì in poi è storia nota: sette vittorie in dieci gare e playoff sfiorati.

Molto più “drammatica”, e quindi più simile a quello attuale, il contesto del 2009/2010, anno del ritorno in serie A con coach Pillastrini alla guida. La Cimberio che fu di Childress, Slay, Morandais e Tusek, per giunta penalizzata di due punti per un ritardo nei pagamenti scovato dalla Comtec, dopo cinque giornate di ritorno è 12° (su 15 squadre: Rieti/Napoli viene esclusa e il campionato diventa monco), ma si ritrova ultimissima (a quota 18, insieme a Biella, Ferrara e Cremona) a due sole giornate dal termine del campionato. Ci pensa proprio una larga vittoria contro la Vanoli a Masnago, in un complesso “dentro-fuori”, a cacciare la paura. La lezione vera? Forse che la situazione della Openjobmetis versione 2016/2017 è sì triste e foriera di preoccupazione, ma non si tratta di un unicum, né in generale, né nelle ultime annate. La speranza, dunque, sia davvero l’ultima a morire, anche al cospetto di una squadra (e di una società…) verso la quale buona parte dell’ambiente ha perso ormai la pazienza.