Quella serata magica di fine estate, all’Olimpico

Il commento di Francesco Caielli, ricordando la prima partita in B del Varese dopo 25 anni

C’era dentro, quel giorno di fine estate, quella splendida sensazione che si prova quando stai per partire per un viaggio atteso e sognato da anni. C’era la voglia di godersela, indipendentemente da come sarebbe andata a finire. Quell’esordio sul prato dell’Olimpico di Torino sembrava fatto apposta, preparato per celebrare un ritorno coi fiocchi.

Si mosse una città intera, nessuno voleva mancare: tutti convinti che il Varese non avrebbe perso quella partita. Andò così, andò che il Varese trionfò affacciandosi di prepotenza al pallone che conta, andò che Buzzegoli e Neto fecero i Buzzegoli e i Neto. Andò che quella sera iniziò una delle stagioni più belle e irripetibili che si siano mai viste. Ecco, se noi dobbiamo pensare al Varese più bello, pensiamo a quello: l’ultimo anno con Sannino e Sogliano, i lunedì allo stadio col Confa e Ricky, le trasferte clamorosamente belle vissute sempre e solo come una festa, le anime belle e non ancora contaminate da quel cancro che prima o poi arriva quando si sale in alto e si vuole sempre di più, la semifinale contro il Padova e quella partita di ritorno drammatica ma allo stesso tempo meravigliosa.

No, non c’è più stato un Varese così: splendido quello dell’anno dopo portato da Maran fino a un centimetro dalla serie A, ma forse qualcosa si era rotto o stava iniziando a rompersi.

Ci aggrappiamo a questo scampolo di passato, un salto indietro nel tempo quando il calcio che conta davvero lo incontravamo soltanto in occasione di qualche amichevole estiva. Ci aggrappiamo a questo, un “Varese-Torino” che dopo quella sera d’agosto ha un suono tutto diverso e tutto particolare. Ci aggrappiamo a quello per ricordare, ma anche per guardare avanti: è tutto già successo ed è successo da poco. Come vanno fatte le cose e quali sono gli errori da evitare, che tipo di persone prendere a bordo e quelle da cui fuggire come la peste. È tutto lì, anzi: «È tutto scritto», come diceva il Beppe. Dateci un pallone, un prato, e undici uomini vestiti di biancorosso: noi saremo orgogliosi di raccontarne le gesta. Da innamorati.