«Sacrificio e coraggio. Così nulla è impossibile»

Nella favola Leicester con il varesino Andrea Azzalin: «Una volta nella vita certe cose succedono. Se ci credi»

Dai piedi del Sacro Monte alla cima della Premier League. La più bella favola della storia del calcio ha tra i suoi eroi un varesino, nato e cresciuto qui e arrivato sul tetto del campionato più importante del mondo. Niente succede per niente: servono testa, cuore e attributi per conquistare ciò che si vuole. Con il lavoro, duro; con la determinazione, ferma; con lo studio, fondamentale; con il sacrificio, vero.

Avete imparato a conoscerlo su queste colonne, su cui tutti i giorni scrivono amici e dove anche la sua penna – e quella di sua moglie Erika – hanno scritto righe che resteranno nel cuore di chi le ha ricevute in dono: Andrea Azzalin, 31 anni, è il preparatore atletico del Leicester, la squadra che l’anno scorso ha vinto il titolo più incredibile (i bookmakers lo quotavano 1:5000: più improbabile di trovare vivo Elvis o che Bono diventasse papa) ed emozionante (il mondo intero ha vissuto la favola con il cuore in mano: ne sono testimonianza le migliaia di persone che hanno invaso una città “dispersa” nel centro dell’Inghilterra, multietnica e lavoratrice, per toccare con mano un sogno collettivo) della storia del calcio.

Azzalin è partito da qui, da Varese: triennale in Scienze motorie all’Insubria, magistrale a Milano – allievo (prediletto) del grande, indimenticabile e indimenticato professor Enrico Arcelli -, dottorato di ricerca tra Università di Verona e di Kent (e oggi è docente universitario a Bari e Pisa nel corso di metodologia dell’allenamento negli sport di squadra all’interno della laurea magistrale di Scienze dello sport); preparatore atletico a Luino, in Eccellenza, poi nel Varese 1910, con cui ha raggiunto le finali Scudetto Primavera nel 2012, prima di spiccare il volo e raggiungere Montecarlo, scelto da un maestro assoluto come Claudio Ranieri.

A caccia di un sogno, la Champions League, conquistata ma non giocata con il Monaco (dopo aver vinto la serie B francese e aver centrato l’Europa l’anno successivo con il secondo posto in Ligue 1, la dirigenza decise di cambiare l’allenatore) e poi raggiunta nel modo più incredibile due stagioni più tardi. A Leicester. Vincendo la Premier League, davanti ad Arsenal, Tottenham, Manchester City e United, Liverpool, Chelsea. Corazzate, messe in riga da una banda di sognatori. Che ha dimostrato al mondo che nulla è impossibile. Difficile, sì. Impossibile, no.


Nell’estate 2015 aspettavo una chiamata dopo un anno amaro (le esperienze a Bari con Devis Mangia e nella nazionale greca con Ranieri si conclusero anzitempo, ndr). Mi sono sposato il 16 giugno con la mia Erika, rientrando in Italia il 30 per i funerali del professor Arcelli. Un paio di giorni dopo mi ha chiamato Ranieri, dicendomi che c’era la possibilità di allenare il Leicester. La Premier League è un obiettivo per chiunque lavori in questo mondo. Ho avuto la fortuna di arrivarci e a inizio stagione mai avrei pensato di poter vincere.

La convinzione di poter centrare l’impresa, di realizzare la favola, l’ho avuta il 6 febbraio, quando abbiamo vinto 3-1 in casa del City. Sembrava fosse destino, sembrava “tutto scritto”: venivamo da grandi prestazioni e quella fu una conferma di potercela fare. Solo la paura di vincere avrebbe potuto fermarci.

La determinazione dei ragazzi dava forza a tutti: a me, al mister, all’ambiente, alla squadra, ai tifosi. Abbiamo unito non solo Leicester, ma l’Inghilterra, l’Italia e poi il mondo intero. Credo che questa vittoria sarà ricordata per sempre.

Ogni volta che me lo chiedo non riesco a dirmelo… Ci provo: il coraggio di osare. Tanti dicono che il Leicester ha vinto perché le grandi hanno toppato: forse è così. Ma abbiamo chiuso con 81 punti, 10 più dell’Arsenal. Non è successo per caso: ce lo siamo meritato. Certe cose forse possono succedere una sola volta nella vita; ma se riesci a sfruttare un’occasione, con determinazione, voglia di crederci fino in fondo, sacrificio, importanti valori morali, nulla è impossibile.


Sì. La giochiamo per la prima volta nella storia del club e siamo passati come primi del nostro girone: un altro pezzo di storia costruito. Indimenticabile la prima sera, a Bruges: ci stavamo allenando ed è partita per caso la famosa musichetta. Brividi. Ho realizzato un altro obiettivo che mi ero proposto di raggiungere.


No, no – ride – adesso sotto il prossimo. Per natura non mi pongo limiti. Vincere la Champions? Difficilissimo, ovviamente. E in questo momento dobbiamo raddrizzare le nostre prestazioni. Ma se riuscissimo a ritrovare lo stesso spirito dell’anno scorso allora saremmo un avversario imprevedibile per chiunque.


Le 200.000 persone riunite in Victoria Park, in centro a Leicester, arrivate da ogni parte del mondo per la nostra ultima partita, la parata in città (500 mila persone) e quella per le strade di Bangkok con 1 milione di persone lì per noi. Il gol al Manchester United con cui Vardy ha battuto il record di gol consecutivi in Premier League. E il giro d’onore dentro al nostro King Power Stadium, alzando al cielo il trofeo della Premier League.


Erika, mia moglie. Nei momenti di intimità e in quelli in cui ho bisogno di qualcuno, lei c’è. Sempre. E vale più di ogni cosa. Sono fortunato a fare questo lavoro e se tornassi indietro farei le stesse cose. Come ovvio però non è facile essere lontani da casa, sempre in realtà diverse in cui doversi adattare. Ma io e lei siamo un’ottima squadra. Poi, Kanté (centrocampista del Leicester campione, ndr): per me rappresenta l’umiltà.

È arrivato in punta di piedi e così se n’è andato. Riuscendo a entrare nel cuore di tutti: un lavoratore, serio, sorridente, felice di giocare. Mai sopra le righe. Oggi è un perno del Chelsea e Antonio Conte è felicissimo di averlo. Sono orgoglioso e sinceramente contento per lui. Infine, Claudio Ranieri: che è stato bravissimo nel mettere insieme tutta la sua esperienza e guidare la squadra nella storia. A livello personale è una delle persone più importanti della mia carriera: mi ha dato fiducia ai tempi di Montecarlo e da allora il rapporto, speciale, si è arricchito di tanti capitoli nuovi. Lo ringrazierò per tutta la vita.


La campana del dilly ding dilly dong che ci ha regalato Ranieri. La tengo vicino alla TV: mi ricorda che devo essere sempre sveglio… La riproduzione della Coppa e la medaglia: sono nella mia teca, dove tengo i ricordi più importanti. Ci sono le maglie dei giocatori che hanno rappresentato qualcosa nella mia crescita: quelle di Borini e Gabbiadini dell’Under 21 (con cui, insieme a Devis Mangia, Azzalin arrivò secondo agli Europei 2013, ndr), le scarpe di Radamel Falcao, le divise di ogni squadra dove sono stato autografate da giocatori e staff. E lì c’è anche la mia tuta del Varese: Adidas, logo in 3D, nera con le finiture azzurre e bianche. Io ero in Primavera e la prima squadra, allenata da Maran, arrivò a un passo dalla serie A.


Sì. Ne parlo sempre con i miei due… fratelli acquisiti, Luca Fiumicelli e Riccardo Ventrella, miei testimoni di nozze: non puoi mai dimenticare chi sei e da dove vieni. Varese e il Varese sono punti fermi della mia vita. Ho iniziato lì, è la squadra della mia città: la seguo sempre, leggendo il giornale e informandomi dal mio amico Danilo Vago (team manager biancorosso, ndr). Come ogni tifoso biancorosso ho un sogno: vedere il Varese in serie A. Impossibile? Basta crederci… Ora, però, un passo alla volta: cominciamo da questa serie D.