«Siamo in debito con questa città»

Parla il capitano della Openjobmetis Daniele Cavaliero: «Lo sprint salvezza per noi vale la vita»

Gli uomini in certi momenti sono padroni del loro destino. Questo è proprio uno di quei momenti, di quei bivi di una stagione in cui puoi scegliere che indirizzo dare al tuo futuro, alla tua squadra, alla tua carriera. La parola retrocessione in questo momento fa paura, non si può nemmeno ignorarla ed Attilio Caja ha lanciato un segnale importante in questi giorni, molto forte, nitido. Nel momento più delicato, ha concesso alla sua squadra tre giorni interi di riposo.

Mossa giusta, follia, sottovalutazione?Lo chiediamo, insieme a tanto altro, a Daniele Cavaliero, un giocatore a cui tecnicamente si possono contestare tante cose come a qualsiasi altro atleta, ma che ha sempre dimostrato di non aver paura a prendersi delle responsabilità. E soprattutto di parlare in modo schietto, senza preconcetti, senza schemi di risposta predefiniti, come spesso capita..

Sì, quando una persona nuova fa queste scelte significa che ha visto qualcosa di particolare nel gruppo. Nella nostra situazione è un’idea forte, lo so, una presa di posizione forte nei nostri confronti, ci dà ancora tanta fiducia. Ci prendiamo questi due giorni, con la possibilità di tirare via tante scorie che abbiamo in testa, di rilassarci con la promessa, che non serve nemmeno ripetere, che da lunedì in poi tutte le nostre energie ed i pensieri vanno a questo ultimo sprint finale,

che per noi è la vita. Siamo qui a parlare di una situazione in cui nessuno voleva trovarsi: la sensazione è che siamo in debito con questa città, con i nostri tifosi, con la nostra società che ci ha dato tutto, che ci ha messo nelle condizioni migliori per poter lavorare. Dobbiamo ripagare questo debito salvando la squadra e facendo vedere a questa gente quanto ci teniamo a questa maglia.

La sensazione è quella, lo so. Secondo me noi dobbiamo trovare il modo di mettere in campo alla domenica ciò che facciamo durante la settimana. Ci alleniamo duramente, con intensità, cercando di fare sempre la cosa giusta. Basta venire agli allenamenti e si può avere una conferma. Alla domenica facciamo più fatica e, quando non riusciamo a mettere in campo ciò che vogliamo e magari finiamo sotto di 6 o 7 punti, purtroppo abbassiamo la testa. A Brindisi non siamo riusciti a reagire come avevamo fatto ad esempio con Sassari o con Milano, è un nostro grande punto debole di domenica scorsa e non deve più accadere. Gli errori li facciamo tutti, io ne ho fatti a migliaia, però dobbiamo darci una mano tutti proprio in quei momenti. Perché sono sicuro che questa squadra abbia abbastanza talento per infuocarsi e portare a casa una partita.

Ricordo molto bene la trasferta di Torino, era la prima dopo il mio infortunio. È vero, è stata la svolta. Senza fare paragoni, dico una cosa che mi viene dal cuore: se è successo l’anno scorso, può succedere di nuovo con diversi interpreti, con diverse persone, in situazioni diverse e con diversi problemi. Spero che questo possa essere un pensiero che rimane all’interno della testa di chi c’era e che quasi inconsciamente possa dare un impulso maggiore.


Fa la stessa cosa che ha fatto l’anno scorso, ossia si allena nel miglior modo possibile e cerca di aiutare, cerca di farsi trovare pronto quando viene chiamato in causa e fa ciò che gli viene chiesto. Lo sfogo non era uno sfogo da capitano, ma da uomo che sentiva che qualcosa anche all’interno di un articolo che avevo letto aveva dato fastidio. La squadra si è compattata non per quello, ma perché abbiamo continuato a lavorare in un certo modo, abbiamo trovato la sua quadratura. Quello che posso fare è cercare in ogni modo di essere più utile alla squadra. Credo che un capitano ora debba fare questo.


È una cosa personale. Però sì, è inutile negarlo, però voglio che questo pensiero sia uno sprono in più a far bene. Quando si attraversano questi momenti è difficile restare positivi, però confrontandomi anche con un mio compagno, ho capito che da parte mia il pensiero della retrocessione in testa c’è.

In questo momento sì perché siamo lì, nessuno ci ha messo lì, abbiamo perso tante partite e ci meritiamo di essere dove siamo. Non penso sia il posto che ci compete, quello no, perché possiamo e dobbiamo fare meglio. I frutti del lavoro pagheranno? Dobbiamo dimostrarlo in campo, finora non siamo stati abbastanza bravi.

La città di Varese ed i nostri tifosi hanno sempre delle aspettative perché questa è Varese e ci sta, lo capisco. Avevamo noi grosse aspettative su noi stessi dopo l’ottimo finale di stagione scorso. Dopo aver passato di culo il preliminare, ci sentivamo una squadra che poteva starci in due competizioni importanti. Dobbiamo meritarci noi il vero tifo di Varese e quest’anno fino ad ora lo abbiamo fatto molto poco. È un peccato per la squadra, per la città e per i tifosi. Sono convinto che insieme si spinge sempre un po’ più forte, mentre quando il pubblico ti fa notare a suo modo che le cose non vanno, è un pochino più complesso.


Tanto, ma non sono un alibi per noi. La squadra è lunga, abbiamo giocatori versatili. L’assenza di Luca ha portato all’adattamento di Giancarlo da quattro, ha trovato uno spazio importante e sta dando tantissimo alla squadra. Bullo è un giocatore fondamentale perché all’interno delle partite, pur con un minutaggio non elevato, trova scelte di altissimo livello e l’intensità che riesce a produrre in difesa è di esempio per noi. Però ripeto, tutto questo non deve essere un alibi. Tutto vero e tutto giusto ciò che si dice sulle assenze, perché è vero che pesano, però non possiamo attaccarci a questo.

È molto brutto, perché è una competizione bellissima che non gioco da un po’ di tempo, e mi rode. Perché quando sei lì ti senti parte della prima fascia del campionato, vedi partite di alto livello, c’è una preparazione quasi maniacale. Però difficilmente le guarderò, per me è un problema. Non portare la propria squadra nelle prime otto in una competizione così bella fa male. Però non possiamo permetterci di pensare a questi ora. Per noi Pistoia è una finale da non sbagliare, senza a né ma. Ora, è tutto quello ciò che conta.