«Siamo un miracolo. Con un segreto»

Il direttore sportivo Peppe Sindoni racconta la sua Capo d’Orlando: «Idee condivise con coach Di Carlo»

Capo d’Orlando è un comune di poco più di 13mila abitanti, in provincia di Messina: piccola particolarità, la favola cestistica di questa cittadina che guarda negli occhi le Isole Eolie è al quarto posto della classifica della Serie A1. Un miracolo? Probabilmente sì, e lo chiediamo ad uno degli artefici di questa realtà, ossia Peppe Sindoni, giovanissimo direttore sportivo (compirà 29 anni a settembre).

Secondo me in buona parte lo è, credo che miracolo sia la definizione corretta. Perché si parla tanto delle ricette e del come si fa una squadra, puoi pensare di lavorare al meglio, puoi metterci passione, puoi dedicarti ma una parte di casualità e di fortuna c’è sempre. Quest’anno in fase di costruzione della squadra non abbiamo fatto qualcosa in più degli altri anni, però stiamo vivendo un’annata memorabile.


Da un punto di vista numerico stiamo facendo meglio del 2007/2008, che fu la stagione del miglior piazzamento del club (sesti in regular season, quarti di finale playoff e anche in Coppa Italia, ndr). La stiamo vivendo con grande entusiasmo, perché un po’ come nel 2008 abbiamo una coesione di gruppo incredibile e al Pala Fantozzi si respira un’atmosfera incredibile. Questo ci soddisfa ancora di più, perché oltre a vincere le partite stai bene durante la settimana e hai ancora più voglia di lavorare e di mettere le basi per il futuro.


Devi partire anzitutto da idee condivise con l’allenatore. Nella mia non lunghissima esperienza riconosco che le stagioni più positive sono quelle in cui hai costruito tutto partendo da un’idea e provando ad allestire la squadra seguendo questa idea di base. È stato molto importante perché ci ha permesso di non disperdere tempo ed energie, di prendere gente che rientrasse nell’idea tecnica dell’allenatore. E coach Di Carlo è sicuramente il segreto tecnico di questa squadra, sentiremo parlare di lui ai massimi livelli perché è davvero bravo. Non siamo andati a cercare pezzi pregiati in estate e penso che qualsiasi altra squadra avrebbe potuto avere il nostro roster: allestire una squadra così tanto europea ci ha permesso di attaccare un mercato sostanzialmente vergine, in cui non abbiamo trovato la competizione di nessun’altra squadra italiana. Anche perché se ci fosse stata, non saremmo stati noi a prendere determinati giocatori.


Assolutamente sì: siamo consapevoli di avere di fronte una squadra in salute e soprattutto che gioca bene. Caja ha ridefinito delle gerarchie ed è fondamentale nelle squadre che vanno male, ha stretto le rotazioni, ha dato certezze alla squadra. Tutto questo oggi si vede in campo perché, a parte le vittorie, Varese esprime una pallacanestro solida, ha ritrovato un protagonista come Maynor e ne ha aggiunto un altro come Johnson, ed insieme stanno trascinando la squadra.


Avevamo saputo che potesse andare via ed era un’idea che ci sarebbe piaciuta. Ma non siamo mai arrivati nemmeno a discuterne in quanto il giocatore non è mai stato disponibile sul mercato. Ci sarebbe piaciuto molto, lo ammetto.

Era l’ultima spiaggia, dovevamo trovare una vittoria in trasferta per credere alla salvezza. Quest’anno è differente, siamo anche noi reduci da quattro vittorie consecutive, vincere a Varese sarebbe la quinta ed inoltre la quarta consecutiva fuori casa. Come l’anno scorso questa partita può però rappresentare una prova di maturità per noi, per capire se siamo abbastanza maturi per arrivare tra le prime quattro, obiettivo impensabile ad inizio stagione. n