Taccone sei tu il nostro presidente

L’editoriale di Filippo Brusa dopo la devastazione del Franco Ossola

Un uomo venuto dal sud ha fatto capire ai pochi che non se ne fossero ancora accorti qual è la disgrazia del Varese. Questo uomo si chiama Walter Taccone ed è nato ad Avellino il 3 novembre del 1947. Si è laureato in biologia, è diventato imprenditore e nel 2009 ha salvato, con altri soci di una volonterosa cordata, la squadra della sua città, di cui orgogliosamente è presidente.
Ieri è stato un padre premuroso non solo per i suoi giocatori,

già ben sostenuti dal loro direttore sportivo Enzo De Vito, ma soprattutto per i quasi 500 tifosi arrivati a Masnago dopo 900 chilometri di viaggio. Erano spiazzati, increduli e non sapevano che cosa fare perché al Franco Ossola avevano trovato una situazione surreale. Ed è stato proprio Taccone a spiegarla uscendo dallo stadio per immergersi in un bagno di folla nel cuore del suo pubblico a cui ha raccontato come stavano le cose: «Nel prato dello stadio ci sono trenta o quaranta buche e non si può giocare. Ma se non ce la fanno recuperare fra ventiquattr’ore noi faremo una pazzia». Questa è stata la promessa del presidente dell’Avellino alla sua gente. E oggi la partita va in scena a porte aperte.

Seguire Taccone, mettersi sulle sue orme, ci ha riempito il cuore e fatto venire la pelle d’oca. E ha fatto sentire il Varese un povero orfanello che si può solo sognare un papà così forte.
Di papà ce n’erano tanti sul piazzale dello stadio, insieme a Taccone. Erano partiti nel cuore della notte per portare i loro ragazzi a vedere l’Avellino che vuole i playoff e sogna la A. Uno di loro ha cercato Taccone, apostrofandogli con vigore queste parole: «Presidente, io ho due bambini. Siamo partiti a mezzanotte e questa per noi è la trasferta più lunga ma non potevamo mancare. Io credo nel calcio ma farò di tutto perché i miei figli non vadano più a vedere il calcio. Quello che abbiamo trovato a Varese è incredibile e non sappiamo che cosa fare. Ci dica lei». Taccone, dopo aver chiesto il nome al papà tifoso, ha risposto: «Lorenzo, io fra un’ora tornerò qui per dirti che cosa dobbiamo fare noi. Noi, capisci?». E un’ora dopo, appena saputo che il prefetto di Varese aveva dato il via libera per giocare oggi con le porte aperte, il presidente dell’Avellino è tornato a parlare con Lorenzo e con ognuno dei tifosi presenti sul piazzale dello stadio. Le rassicurazioni di Taccone hanno riempito il cuore di chi ha passato la notte in macchina con i propri bambini.

Alla fine solo un tifoso era rimasto davanti all’entrata principale del Franco Ossola. Al collo la sciarpa biancoverde dell’Avellino, e un braccio ingessato. Timidamente ha chiamato Taccone: «Presidente, ho un problema». «Che c’è?» ha chiesto Taccone. «Non ho più soldi». Senza batter ciglio, il presidente s’è messo la mano in tasca e ha dato i contanti che aveva con sé al ragazzo. Poi Taccone è tornato ad Avellino perché oggi non avrebbe avuto un volo per il rientro. Ma la sua presenza si sentirà forte nella curva degli ospiti. Rimarrà chiusa invece quella del Varese, che non ha un papà ma è un orfano che rischia di trovarsi senza nulla addosso.