Tredici anni fa se ne andava il Pirata «Un uomo capace di far sognare»

Il giornalista della Gazzetta, Marco Pastonesi, parla di Pantani nell’anniversario della morte

Tredici anni senza Marco Pantani sono tanti, troppi. Nel mettere insieme un ricordo quanto più dolce possibile, abbiamo voluto ascoltare la voce di Marco Pastonesi, storica penna di ciclismo sulla Gazzetta dello Sport. Tra i tanti giornalisti che hanno parlato del Pirata, Pastonesi ci ha colpito perché ha sempre voluto scrivere del Marco uomo, del Marco ciclista. E così ce lo descrive, semplicemente.

Sì, penso a quell’intervista-incontro che abbiamo avuto alla partenza del Giro d’Italia del 2003, a Lecce. Fu il suo ultimo Giro d’Italia. Siamo in un albergo fuori città, è la vigilia della partenza del Giro ed io ero lì ad aspettarlo. I suoi compagni tornano dall’allenamento, e lui non c’è. Chiaramente chiedo di lui: “ma il Panta dov’è?”, “ha allungato” mi rispondono. Fatto sta che arriva dopo un’ora, vestito con il completo invernale, con i pantaloni lunghi.

Si stava allenando più degli altri perché era arrivato impreparato a quel Giro, fuori forma e sapeva che sarebbe entrato in condizione solo nell’ultima settimana, quando fece quello storico triplo allungo alle Cascate del Toce. Era fuori forma perché come al solito Pantani un po’ sottovalutava, si trascurava e quello era il periodo più duro per lui. La bicicletta rappresentava l’unica forma di disciplina e di riabilitazione dalla sua dipendenza.

Piano. Marco arriva e va fare la doccia, si presenta poi nella saletta dell’albergo e mangia da solo, anche perché tutti i suoi compagni avevano già finito. E poi, finalmente, l’intervista. Uno ad uno, io e lui soltanto. E la cosa che mi aveva sorpreso di più è che, forse, per ormai una diffidenza verso i giornalisti, pesava e calibrava le risposte. Parola dopo parola, era molto controllato. Però attenzione, mai banale. Ci sono dei corridori, o anche altri atleti, che ad ogni domanda attacca il disco, il pilota automatico, escono solo frasi scontate banali, nel calcio soprattutto. Lui dava risposte vere, pensate, appunto mai banali.

Io ho scritto un libro in cui ho cercato di fare luce sul Pantani uomo: in “Pantani era un dio”, questo il titolo, ho raccolto le descrizioni e le testimonianze di chi gli è stato vicino, soprattutto dei suoi gregari. Sotto l’aspetto giudiziario, non mi sento di dire che sia stato una vittima, forse altri sono stati graziati mentre lui è stato preso ad esempio. Perché si era esposto più di altri, perché ci metteva sempre la faccia. Lui stesso forse si era complicato un po’ la vita. Era molto forte e allo stesso tempo molto fragile già dalla bicicletta. È stato tanto forte in salita e altrettanto forte nella discesa verso l’inferno. Oggi, è vero, si pensa a Pantani più facilmente per le sue vicissitudini che non per le sue qualità umane, che io ho cercato di far emergere nel libro. E ne aveva di qualità umane, era un uomo istintivo, generoso, originale, ma anche davvero molto allegro.