«Una storia chiamata Sacchetti»

Al Twiggy tra amici e leggende, per presentare il libro della grande bandiera biancorossa

Queste qui non sono serate normali, non lo sarebbero nemmeno se lo volessero. Cosa può esserci di normale quando attorno a un tavolo metti Meo Sacchetti, Toto Bulgheroni, un libro gonfio di storia, tanti amici, la Pallacanestro Varese.

Ci si è ritrovati tutti al Twiggy ieri sera, per la presentazione del libro “Il mio basket è di chi lo gioca”, scritto dalla bandiera biancorossa che questa sera scenderà a Masnago da avversario, sulla panchina di Brindisi. Ci si è ritrovati per rispondere a un appuntamento dato da una signora chiamata Storia, e alla fine ci si è sentiti tutti un po’ orgogliosi di essere cresciuti qui. Respirando basket.

Una premessa, doverosa: era la presentazione di un libro e di questo libro bisogna parlare. Basta una sola parola: leggetelo. Perché è scritto bene, perché è del Meo, perché ci si trova dentro tanta Varese, perché le storie e gli aneddoti sono sfiziosi e magici. Quindi, ecco: leggetelo.

Fatta la premessa, torniamo alla serata di ieri: perché meritava. Sul tavolo, il libro. Dietro al tavolo, Sacchetti e Bulgheroni. Nessun moderatore, nessun presentatore, nessun preambolo, nessuna parola al vento. Due amici che per un’ora abbondante hanno ricordato, si sono stuzzicati, hanno discusso, si sono emozionati, hanno commosso. Logico si sia parlato tanto di Varese: perché un pezzo importante della storia del Meo si è vissuta qui. «Sono arrivato - ricorda – e le cose non sono andate subito bene. Il primo coro che mi fecero i tifosi fu “Bulgheroni basta coi bidoni”. Qualche anno dopo, in quella maledetta finale in cui mi ruppi il ginocchio, gli stessi tifosi mi fecero uno striscione con la scritta “Meo, la nostra Stella sei tu”. Insomma, le ho vissute davvero tutte».

Toto Bulgheroni: «C’è un Meo prima del 1980, e un Meo dopo il 1980. In mezzo, sua moglie Olimpia. Leggetelo il libro, e troverete una frase meravigliosa che spiega il rapporto tra Meo e Olimpia: senza di lei, lui sarebbe perso».

Il Meo giocatore, quello della DiVarese: «Totale – dice Bulgheroni – c’è solo un rammarico: quello di non avere mai vinto nulla. Abbiamo perso tre finali, due delle quali per dei colpi di sfortuna incredibili, e poi c’è stata quella serie con Pesaro. Se Meo non si fosse fatto male avremmo vinto noi? Non lo so. Ma di certo ce la saremmo potuta giocare fino all’ultimo secondo dell’ultima partita. Meo era incredibile: preferiva fare le cose che gli riuscivano meno, invece di quelle che sapeva fare benissimo. E questa cosa mi faceva impazzire, letteralmente».

Meo, poi, ha vinto: da allenatore, sulla panchina di Sassari. «Forse – racconta – mi è stato restituito qualcosa. Quello che mi era stato tolto nel 1990 con l’infortunio è tornato indietro. Ed è stato bellissimo arrivare a vincere uno scudetto da allenatore di mio figlio Braian».

Ed eccoli, Sacchetti e Bulgheroni, che iniziano a stuzzicarsi. Meo: «Il Toto mi avrà ripetuto cento volte che la mia Sassari non giocava bene». Toto: «Vero, Reggio Emilia giocava meglio. Però hai vinto tu, e chi vince ha sempre ragione».

Potremmo andare avanti ore (pagine) a parlare di queste cose. Chiudiamo con la commozione di Carlo Meazza, uno che ha fotografato gli anni più belli e li ha resi eterni: «Quello è stato il periodo più bello della mia vita, irripetibile. Grazie a una società meravigliosa, e a giocatori come Meo che erano prima di tutto degli uomini meravigliosi. Anni che non torneranno indietro ma che noi, abbiamo avuto la fortuna di vivere».