«Varese-Milano? I tifosi sanno cos’è, i giocatori d’oggi no»

Nando Gentile, leggendario rivale della Pallacanestro Varese e simbolo del basket italiano, ci racconta il suo personalissimo derby

La definizione migliore di “cazzimma” è stata data in tempi non sospetti dal cantautore partenopeo Pino Daniele: è un neologismo dialettale che designa “furbizia accentuata, pratica costante di attingere acqua al proprio mulino ed attitudine a cercare e trovare d’istinto, sempre e comunque, il proprio tornaconto”. Mutuandola su un campo da basket, evidentemente una qualità sopraffina.

Ferdinando Gentile, al secolo Nando, stirpe borbonica da Tuoro (Caserta), è cazzimma e storia che non si cancella. La prima gli ha permesso di vincere lo scudetto degli scugnizzi nella città della Reggia – anno di grazia 1991 e Vincenzo Esposito come scudiero – per poi confermarlo campione, ancora troneggiante, negli anni da capitano a Milano e nella parentesi al Panathinaikos (un’Eurolega). La seconda si declina come situazione, quella di un avversario tra i più odiati – e quindi apprezzati – ai nostri lidi, e come maestra di vita, nel senso di conoscenza che ti permette di interpretare il presente. Alla vigilia del derby con Milano, ci serviamo di lui per tornare a scuola.

Tanto e poco, a seconda dei punti di vista: c’è ancora chi ama vivere partite del genere e sono i tifosi. Per loro il derby è un regalo, perché conoscono il passato, sudano la rivalità, hanno appunto una storia che manca ai giocatori di oggi, tutti stranieri. Per fortuna a Varese avete Pozzecco, che sa di cosa stiamo parlando.

Che vincere a Masnago veniva considerata da tutti un’impresa, a prescindere dal valore dell’avversario: si provava rispetto per la squadra, per la società, per il suo blasone. Ma ritorniamo al concetto di prima: apprezzare il background della sfida contribuiva ad aumentarne fascino ed importanza. Venivamo da Milano con il doppio della voglia di vincere rispetto alle altre partite.

Mi è rimasto impresso un match del 1996, del quale non ricordo tanto gli avvenimenti in campo quanto la trasferta. Erano i playoff scudetto, noi eravamo arrivati quinti in regular season e la Cagiva quarta: dovevamo espugnare per forza Varese e sentivamo una pressione enorme. Tanjevic, il nostro allenatore, capì che bisognava sparigliare le carte della tensione: invece di arrivare il giorno antecedente o al mattino, decise che saremmo partiti da Milano solo 2 ore prima della gara. Fu una cosa assolutamente inusuale, giungemmo a Masnago con i tifosi già dentro al palazzetto, ma servì a tranquillizzarci. Ed a vincere.

Varese è una creatura nuova in un panorama cestistico drammatico, se si pensa alla difficoltà nel trovare le risorse economiche. Quella di cercare in più finanziatori la propria sopravvivenza è un’idea per la quale va fatto un enorme plauso alla società. Ha un nuovo allenatore, tanti giocatori da inserire: bisogna mantenere la calma anche nelle sconfitte e preservare la bella atmosfera creata dall’arrivo del Poz.

La fortuna dell’Ea7 sta nell’aver vinto il campionato lo scorso anno, una consapevolezza di se stessi che sta aiutando ad inserire anche gli atleti arrivati quest’estate. La vedo favorita per domani, ma non sarà una partita così scontata.

Entrambi. Anche perché gli ho fatto una testa così (ride). Ho cercato di trasmettere loro la “cultura” di attaccarsi alla maglia ed alla città in cui giocano, sempre. Anche qui: conoscono la storia. Forse Alessandro è più coinvolto perché riveste il ruolo di capitano.

Ha dei problemi alla schiena che si porta dietro da almeno un mese. Tra trasferte e partite una dopo l’altra ha dovuto tirare avanti: anche in Eurolega è sceso in campo con gli antidolorifici, ma dopo i colpi subiti nel primo tempo, è stato costretto a fermarsi. Domani non ci sarà e prevedo almeno due settimane di stop: la schiena è una parte delicata.

Mi dispiace molto per Kangur, è un bravissimo ragazzo ed ha una splendida famiglia che ho potuto conoscere. Per l’Openjobmetis è una pedina fondamentale e continuo a credere, nonostante il nuovo infortunio, che Milano abbia fatto male a cederlo.

Nella pallacanestro di oggi è certamente fondamentale creare rapporti positivi con atleti che hanno nazionalità e culture diverse. Però questi ragazzi vanno allenati: bisogna farli crescere anche se sono stranieri, bisogna farli stare in palestra a capire e sudare. Devono sentire che gli stai insegnando qualcosa: solo così ti ripagano. Tanti allenatori italiani tutto questo non lo fanno più.