Vavassori si confida con noi «Invidio il Varese, remate uniti»

È stata la serata giusta per riflettere su due dei sette vizi capitali (invidia e superbia) quella di sabato per Pietro Vavassori. E la location non era né un monastero sui monti tibetani né il silenzio di qualche sperduto eremo sulle Alpi ma l’incandescente Franco Ossola che ha sostenuto il Varese alla sua prima di campionato vinta contro lo Spezia. Uno stadio dove sono di casa le emozioni non i pensieri profondi. Eppure per Vava, paradossalmente, è stato il luogo per pensare e non solo per pulsare.

Vavassori era lì «invitato da Michele Lo Nero (ad biancorosso) e ho fatto molto bene ad accettare perché mi è molta piaciuta l’atmosfera prima e durante la partita. Era la prima volta che entravo al Franco Ossola ed è stato molto bello. Ho constatato di persona la grande unità che c’è attorno al Varese da parte dei tifosi che sostengono squadra e società, ma anche questo remare tutti nella stessa direzione da parte delle istituzioni. Ero seduto accanto al presidente Laurenza, persona molto passionale, e ho avuto modo di conoscere e apprezzare la presenza del sindaco Fontana e dell’onorevole Giorgetti.

Al di là di personaggi più o meno importanti – riflette l’ancora per poco patron biancoblù – ho toccato con mano questo senso di appartenenza al Varese, alla squadra della città, al simbolo sportivo dal più piccolo al più grande dei tifosi. È lì che ho peccato: ho provato invidia pensando ai miei tre anni a Busto con gli insulti dei tifosi che, da quanto mi hanno detto, non si sono risparmiati nemmeno durante la partita con la Torres, per non parlare dell’“aiuto” che ho avuto dall’amministrazione comunale. Mi sono detto: qui a Varese si sono salvati ai playout, hanno rischiato fortemente di retrocedere in Lega Pro, hanno avuto le loro traversie per l’iscrizione, eppure sono tutti allo stadio entusiasti a dare una mano. A Busto ho vinto due campionati e cosa è successo? “Vavassori te ne vai sì o no” mi hanno cantato. E allora me ne vado».

Una pausa, il rumore dell’accendino per imboccare una delle innumerevoli sigarette e via con l’ammissione del secondo peccato,

«È quello della superbia perché mi avevano avvertito che avrei trovato difficoltà a Busto, ma volevo vincere quella sfida anche sostenuto dai miei collaboratori, sicuri che, vincendo, la gente si sarebbe avvicinata. Invece è stato il contrario e per me, lo dico con molta serenità, l’andarmene da Busto – penso possa avvenire la prossima settimana, sempre che mi venga presentata la fidejussione – lo ritengo una sconfitta perché, probabilmente, ho peccato di superbia sfidando i bustocchi quando chi ben mi conosce sa che volevo solo fare calcio senza altri interessi».

Vavassori lo vorrebbero in società a Varese anche se il suo destino è la città del Tricolore (Reggio Emilia). Lo andrebbero a prendere a casa facendogli risparmiare benzina e autostrada pur di averlo in pianta stabile a Masnago. Anche se non «pensavo di essere così famoso»: i tifosi biancorossi lo hanno riconosciuto all’ingresso allo stadio e anche in tribuna e «parecchi mi hanno detto “venga a Varese e lasci Busto che non le vuole bene, vanga da noi e si divertirà”. È stato molto piacevole, lo ammetto, ricevere questi attestati di stima: significa che la gente segue tutto il calcio e sa riconoscere le persone che fanno bene. Una bella serata di calcio, sono tornato molto carico. Per adesso basta così, ma nel calcio non si sa come vanno a finire certe cose. Chissà mai…».

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