«Noi, per i poveri e con i poveri»

Don Ivano Santilli ci guida nell’Incarnazione «Accogliamo chi chiede aiuto e gli stiamo vicino»

Vivere per i poveri e con i poveri: è questo che accade nella Casa Famiglia Incarnazione di Cerro a Laveno Mombello.
Uno stile del vivere che mette in gioco tutta l’esistenza, dalla mattina alla sera, senza riserve. Preziosità al servizio della comunità di cui è costellata tutta la provincia prealpina e che spesso stupiscono nella loro straordinaria semplicità.
Una casa famiglia per condividere la vita di tutti i giorni con i poveri: è questo il desiderio e poi il progetto realizzato da don insieme a .

La Casa Famiglia Incarnazione esiste dal settembre 2010 e, da allora, ha acolto in quella abitazione vicina al lago già una trentina di persone tra italiani e stranieri.
Attualmente alla Famiglia Incarnazione di Cerro, insieme a don Ivano e Fiorangela, responsabili della struttura, vivono cinque persone: due uomini, due donne e due minore di 16 e 17 anni.
«Era il 2001 quando a Milano prestavo servizio alla fondazione don Gnocchi con i ragazzi disabili –

ricorda don Ivano – Ebbi l’occasione di confrontarmi con una ragazza che frequentava la comunità di dona Rimini: alla base c’era la constatazione che più che dare riceveva. Mi parlò di ciò che faceva la Comunità Papa Giovanni XXIII e volli conoscere don Oreste».
L’associazione fondata da don Oreste Benzi nel 1968 opera nel mondo dell’emarginazione e della povertà seguendo i principi della condivisione diretta di vita e della rimozione non violenta delle cause che provocano ingiustizia ed emarginazione. Attualmente la Comunità è diffusa in 32 Paesi dei cinque continenti.
«Quell’incontro mi ha spinto a vivere accanto al povero, condividendo la vita con lui. Anche come sacerdote non mi bastava l’elemosina o il dare un piatto di pasta. Il povero ci viene inviato dal Signore non perché noi lo dobbiamo aiutare, ma perché, attraverso il povero, noi abbiamo la possibilità di convertirci e avvicinarci al Signore».

Ma come conciliare il servizio di sacerdote diocesano con questa nuova vocazione che don Oreste ha aiutato a far emergere in don Ivano‘?
«Ne parlai con il vescovo che mi chiese di suggerirgli quale strada sarebbe stata compatibile con queste due attività. Proposi la strada del cappellano di ospedale o del carcere o, infine, il vivere in una comunità pastorale come collaboratore del parroco vivendo anche la realtà della casa famiglia. Volevo realizzarla quando ero parroco a Biandronno, ma non è stato possibile, allora chiedemmo a don Bruno, responsabile della comunità pastorale di Laveno Mombello e scegliemmo la casa parrocchiale di Cerro all’epoca vuota».
Nella provincia di Varese sono presenti tre case di accoglienza: a Besozzo, a Golasecca e quella di Laveno Mombello.

«Accogliamo le persone che chiedono aiuto. Per la nostra realtà sono persone autonome, senza fissa dimora con problemi di alcool che accompagniamo in un cammino terapeutico. In ogni caso, ogni casa famiglia non è composta da più di dieci, 12 persone, altrimenti si perderebbe quella necessaria attenzione al singolo. C’è chi si ferma una notte e chi si ferma per qualche mese o anno, non esiste una regola da questo punto di vista».
E attorno alla casa Incarnazione si è costruita spontaneamente una rete di solidarietà composta dalla gente che vive nella comunità intorno: «Sanno quello che facciamo, ci danno una mano: due volte alla settimana c’è chi prepara la cena, chi stira, chi ci dà alimenti e vestiti».
E poi la domenica alcune persone sole della parrocchia vanno a mangiare da loro per respirare aria di famiglia: «Siamo una piccola realtà, un piccolo segno di cui tutta la comunità si fa carico».