L’orgoglio peruviano colora la città

In cinquemila per la processione del Señor de Los Milagros a Busto Arsizio. La messa celebrata dal prevosto

La carica dei cinquemila peruviani per le strade di Busto Arsizio: ieri in centro la caratteristica processione con l’icona del Señor del Los Milagros, patrono del Perù, che si è conclusa con una Messa al Museo del Tessile, celebrata dal prevosto . «Questa celebrazione religiosa rappresenta una testimonianza di un incrocio culturale nel segno del cattolicesimo» le parole dell’assessore , che indossando la fascia tricolore in rappresentanza della Città ha accolto ufficialmente al Tessile il console generale del Perù .

Erano in tutto circa cinquemila gli immigrati peruviani giunti da tutta la Lombardia che hanno partecipato al corteo e alla Messa. Una processione molto lenta, caratterizzata dal colore viola dei paramenti, in cui l’icona è stata trasportata da 24 uomini della confraternita Hermandad del Señor del Los Milagros, che tiene ogni anno in una località diversa la celebrazione devozionale.

«È la festa cattolica peruviana per eccellenza – fa sapere l’assessore Arabini – ricorda un racconto della tradizione secondo cui, in occasione del terremoto del novembre 1655 che devastò Lima, un muro, fragile, sul quale uno schiavo angolano aveva dipinto Gesù Crocifisso, rimase intatto, così come rimase a seguito di altri terremoti. Così il culto del Cristo dei miracoli protettore di Lima divenne la festa religiosa più importante del Perù». Insomma, un miracolo come quello della Madonna dell’Aiuto che, narra la leggenda, con la sua mano alzata fermò l’epidemia della peste.

Infatti uno dei momenti più significativi è stato il passaggio della processione sul sagrato del santuario di Santa Maria, dove la comunità peruviana ha ricevuto il benvenuto del sindaco e di monsignor Pagani.

Del resto la comunità peruviana è ormai una presenza consolidata anche nel territorio dell’Altomilanese: «All’inizio l’immigrazione era composta da donne, impiegate come colf e badanti, poi arrivarono i mariti per lavorare nelle fabbriche – racconta Arabini – ma non mancano migranti presenti per ragioni politiche, a seguito della guerra interna contro il terrorismo degli anni ‘80 e ‘90».