«Misericordia, l’amore dei cristiani»

A tu per tu con il prevosto di Busto Arsizio, monsignor Severino Pagani, per parlare del Giubileo

Il Giubileo del prevosto di Busto Arsizio monsignor Severino Pagani: «In tanti, nel corso di questo Anno Santo, si sono riavvicinati a Dio».
Domenica 20 novembre si chiude l’anno del Giubileo dedicato alla Misericordia voluto da papa Francesco. La scorsa domenica si è chiuso a livello diocesano in Duomo con la celebrazione dell’Arcivescovo e sabato scorso per la Zona pastorale di cui fa parte Busto Arsizio si è chiuso nel santuario della Madonna Addolorata di Rho.

È innanzitutto uno il significato, quello di aver messo, con un linguaggio semplice ma molto profondo, nella coscienza dei credenti, ma non solo dei credenti anche di tutti gli uomini attenti a i moti spirituali che ci sono nel mondo, il tema della Misericordia. Una parola che sembrava abbastanza desueta, tuttavia è il nome biblico più espressivo e completo per indicare l’amore dei Cristiani. Non è l’amore che uno ha per Dio, ma l’amore che Dio ha per l’uomo,

quindi questa inversione di tendenza riporta tutta l’esperienza cristiana non tanto, o meglio non primariamente, come un’etica, un insieme di precetti, di doveri e una pesantezza della vita, ma pone l’esperienza cristiana come una grazia, come un dono che da Dio viene verso l’uomo. Senza la fede non è che si ha un impiccio in meno, ma una risorsa in meno per scoprire il senso della vita, del mettere al mondo i figli e farli crescere, dell’amare, del lavorare e anche il senso del morire.

Per le persone semplici, e per tutti, vuole dire questo: Dio non si dimentica mai di te, e se tu ti dimentichi di Dio, la vita è meno umana, ci perdi qualcosa. Questo è stato espresso in tanti linguaggi, il linguaggio del perdono, quello della relazione reciproca di amore che deve circolare tra i cristiani e non solo, e tutto questo è stato reso simbolicamente con la tradizione cristiana di alcuni gesti. Primo fra tutti, il tema della Porta Santa, perché la Bibbia dice che Gesù è la Porta della vita, pertanto passare attraverso la porta significa predisporsi ad un cammino di cambiamento, di conversione, cioè di recezione della Misericordia, dell’amore che Dio ha per noi.

La Basilica di San Giovanni è stata eletta a Basilica penitenziale, e difatti in questo anno io ho incontrato tante persone che, pur nella loro semplicità e forse senza la ricchezza di tutti questi concetti, in questo Anno Santo si sono riavvicinate a Dio, anche dopo tanti anni. Forse avevano nel cuore l’idea di una Chiesa soltanto giudicante, capace di rimproverare, di una Chiesa incapace di capire le fatiche delle persone, le fatiche dell’amore umano, soprattutto in riferimento alle dinamiche matrimoniali e di gestione delle relazioni affettive. Questo Giubileo secondo me ha cambiato per molti il volto della Chiesa.

Il merito senz’altro va attribuito a Papa Francesco che ha sottolineato più di ogni altro questa dimensione, che non è l’unica dimensione del Cristianesimo, perché poi ci sono anche le dimensioni dell’etica, della Croce, della Pasqua del Signore, però il fatto di aver messo in questo momento in primo piano il tema della Misericordia, cioè di un Dio sempre disponibile, penso che abbia fatto bene a molto.

Ad esempio, abbiamo potenziato i turni per il sacramento della Confessione: diverse persone sono venute, non solo da Busto ma anche dai paesi vicini, perché la Basilica di San Giovanni è sempre un punto di riferimento, forse per la tradizione e forse anche per la disponibilità di sacerdoti che ascoltano. Io stesso personalmente ho avuto esperienze molto significative di persone che dopo 10, 20 o anche 30 anni, in situazioni anche di difficoltà morale, di disagio, ma con un desiderio sincero di rivedere la loro vita e la loro fede, hanno sentito la Misericordia come una mano tesa e una porta aperta, un dire “se vieni sarai voluto bene”. Così è stato per molti.

Non solo un segnale generico di speranza, ma anche la presentazione di una Chiesa che ha un carisma per i credenti e per i cristiani, ma anche nei confronti di tutto il disagio del mondo. Il dire a tutti “vieni, che il Signore ti aspetta”, è un segno di speranza anche per coloro che sono smarriti, in questo clima depressivo, angosciato, sfiduciato. In epoche così, in genere ci si avvicina di più al mistero della trascendenza, di un soggetto altro da noi che comunemente riconosciamo in Dio. E quindi è stata una forte provocazione non solo per una relazione umana più fiduciosa ma anche per la riscoperta della questione di Dio. È ancora intelligente porsi il problema se dio esiste o no, e se esiste che si occupi di me, come diceva Kant.

La chiusura dell’Anno Santo è un fatto legato alla simbologia, alla necessità di incorniciare idee e sottolineature in un periodo storico particolare. Lo stesso anno liturgico non fa che periodizzare il tempo per permettere di contemplare di tempo in tempo la totalità del mistero cristiano. Finisce l’Anno Santo ma la Misericordia era, è e sarà per sempre.