«Non paragoniamo Busto a Cagliari»

L’avvocato Cornacchia, dopo l’episodio di Muntari, ricorda che quelli a Boateng non furono giudicati cori razzisti

Muntari a Cagliari come Boateng allo Speroni? «La giustizia ha decretato che quelli della curva della Pro Patria non furono cori razzisti ma normali contestazioni sportive» ricorda l’avvocato , allora presidente del consiglio comunale. E allora basta diffamare Busto Arsizio e la tifoseria biancoblù.

Dopo l’episodio di Cagliari, con la clamorosa uscita dal campo del centrocampista ghanese del Pescara Sulley Muntari, indignato per aver ricevuto cori razzisti senza che l’arbitro Daniele Minelli, come prevederebbe il regolamento, abbia stabilito la sospensione della partita, tutti i principali media nazionali, ma anche internazionali, stanno richiamando alla memoria il caso dei presunti “cori razzisti” che la curva dello stadio Speroni riservò al milanista Kevin-Prince Boateng nell’ormai passata alla storia amichevole post-natalizia tra Pro Patria e Milan del gennaio di 4 anni fa.

Persino l’autorevole “Guardian”, nella sua requisitoria contro il razzismo negli stadi italiani, non ha rinunciato a collegare la vicenda di Cagliari con quella di Busto Arsizio. Collegamento fin troppo scontato, dato che Boateng, come Muntari (che era in campo allo Speroni anche nel gennaio del 2013), abbandonò polemicamente il terreno di gioco, inducendo poi l’intera sua squadra a farlo, in seguito agli insulti ricevuti dalla curva biancoblù, da lui giudicati razzisti.

Peccato che la giustizia stabilì con sentenza definitiva, della Corte d’Appello confermata dalla Suprema Corte di Cassazione, che «di cori razzisti non si trattava». A ricordarlo a gran voce – «andrebbe scritto a caratteri cubitali» – alla luce dei fatti di Cagliari, è l’avvocato Diego Cornacchia, consigliere comunale del gruppo misto, che già alla l’indomani della vicenda dello Speroni, quando era presidente dell’assemblea civica, chiese all’amministrazione comunale allora guidata da Gigi Farioli di non costituirsi parte civile nel processo intentato contro sei giovani tifosi biancoblù accusati di aver pronunciato i cori razzisti contro il campione rossonero.

«Ormai è conclamato, ed è stato accertato nelle aule di giustizia che era escluso, con sentenza passata in giudicato, che quelli uditi allo Speroni non erano cori razzisti – sottolinea Cornacchia – I ragazzi di Busto Arsizio non commisero alcun reato, in quanto la loro fu soltanto una contestazione da stadio. Più o meno usuale, ma senza alcuno sfondo razzista. Questo è certo, mentre noi ancora non sappiamo bene cosa sia successo a Cagliari. Ma il fatto che paragonino la vicenda di Busto a Cagliari è iniquo».

Insomma, la città e il suo storico club calcistico pagano ingiustamente gli strascichi di una vicenda che, dal punto di vista giudiziario, non lascia alcun dubbio.

Tanto che lo stesso Diego Cornacchia, all’indomani dell’assoluzione (“perché il fatto non sussiste”) dei tifosi imputati, chiese che l’amministrazione comunale rivolgesse pubbliche scuse per l’«improvvida» decisione di costituirsi parte civile contro gli ultras tigrotti. «Invece di difenderli da un’accusa ridicola furono messi sotto accusa» ricorda l’avvocato bustese.

Come spesso capita, i titoloni giustizialisti del giorno dopo sono rimasti, mentre la notizia delle assoluzioni è finita sotto silenzio, per una vicenda che potrebbe rappresentare un caso da manuale per quel che riguarda il cosiddetto diritto all’oblio su internet.