Da Sant’Agostino ad Einstein fino a Leopardi. Un tuffo nell’immenso mondo di Giovanni Dacò

Con “Madre del nulla” lo scrittore varesino si è aggiudicato il secondo posto al Premio Morselli

“Madre del nulla” è la casa in cui vive in una (quasi) perfetta solitudine Aiace, il protagonista del romanzo, scritto dal varesino , che ha conquistato il secondo posto alla IX edizione del premio intitolato a Guido Morselli.

Curiose le analogie tra la “Madre del nulla” e la Casina Rosa, la dimora dove lo scrittore ha concepito la sua opera narrativa e il suo capolavoro, “Dissipatio H.G.” e dove è andata in scena la cerimonia di premiazione del romanzo inedito, la scorsa domenica. Una pianta di glicine viola, rigogliosa e potente, ricopre tutta la villa, in cui domina una cappa di silenzio e dove, inesorabilmente, affiorano i sintomi della malattia di Aiace: la progressiva perdita della memoria, le crisi di panico, le sensazioni di infarto, i tremolii. Al di fuori della tenuta “Madre del nulla”, non sembra esserci rumore, mentre l’ombra di un crimine e del suo corollario di senso di colpa inizia ad allungarsi sulla casa. Aiace sembra convinto di essere in isolamento da un paio di anni, quando scopre di essere recluso invece da almeno dieci anni.

«Una telefonata inaspettata riporta Aiace alla realtà» ha spiegato il presidente della giuria, , che ha apprezzato gli elementi tipicamente morselliani nel testo: «Una realtà vera, che, in Madre del nulla, non c’è quasi mai. Il protagonista ha un improbabile amico Lightblue, imprigionato in un quadro di Magritte, con cui si incontra in un altrettanto improbabile autogrill. Si tratta di un romanzo in bilico tra il giallo e l’onirico-surreale – rivela ancora Raffo – in cui sono presenti equivoci e drammi,

mentre il senso di colpa per qualcosa che è stato commesso si ingigantisce e si scioglie, verso la fine, il nodo, quel grumo della coscienza, carico di insidie. Il tutto raccontato in un linguaggio lineare e coinvolgente». «Questo romanzo è dedicato a mia madre – spiega invece l’autore -la prima persona che mi ha incitato, sin dalle elementari, a seguire la mia passione per la scrittura, a mio papà che mi ha fornito gli stimoli e gli strumenti e a mio fratello, complice del personaggio Aiace. Ma è dedicato anche alla mia fidanzata e agli amici, che ancora oggi mi tollerano».

Ci sono diversi rimandi filosofici al tempo, la sociopatia, la malattia, l’isolamento, la ricerca del manoscritto perduto e molti sono i riferimenti a temi affrontati dai classici: dalle teorie del tempo relative alla concezione presocratica, a quella di Sant’Agostino e a Einstein. C’e anche un richiamo abbastanza esplicito al sogno in Schopenahuer e non manca Leopardi. Ma la storia ha un’alta componente autobiografica e ci sono tanti elementi della mia vita reale. Il fil rouge è la scelta di estremizzare quasi ogni aspetto: emozioni, personaggi, ambientazioni. Il risultato è quindi un’avventura surreale che ha come elementi principali la memoria (in realtà l’assenza di memoria), l’amicizia e la ricerca, in una situazione atemporale che consente di osservare porzioni di vita che vanno dall’adolescenza all’età adulta».

Tutti i personaggi hanno nomi insoliti, per un motivo. C’è Elijah, che ha funzioni di profeta e guida. C’è Chance, che rappresenta una possibilità ed è probabilmente coinvolto insieme ad Aiace in un misterioso crimine. Particolare anche il Giudice Patè, il quale conduce un processo surreale durante il quale tutti – pseudoavvocati, testimoni, spettatori – continuano senza sosta a divorare cibo di pessima qualità. Una metafora della nostra società abbastanza semplice ma incisiva.


Anche in questo caso ci sono alcuni elementi portati all’estremo, all’esagerazione. Ma la società e le difficoltà di comunicare all’interno di essa spingono Aiace verso la malattia e la conseguente scelta dell’isolamento. Di chi è la colpa? Ognuno avrà la sua risposta.