Il nuovo Eminem italiano arriva dalla Balduina. «Con il mio rap violento voglio far riflettere»

Mostro ha soli 25 anni ma è una scommessa già vinta: oggi alle 14 sarà a Varese Dischi per l’Instore

Venticinque anni, una carriera già scintillante, collaborazioni di spicco (e che spaccano, su tutte quella con ), voglia di essere qualcosa di diverso. E la consapevolezza tatuata a fuoco nella mente – ma se dovesse avere dei dubbi a riguardo la confermiamo noi – di poterlo essere per davvero.

Questo è , al secolo , classe 1992, rapper romano e meravigliosamente atipico. Sì, perché Mostro non gira con le collane d’oro e la pretesa di avere il ferro sotto la giacca. E non millanta un passato disastroso, la vita nel ghetto e i casini. Viene dalla Balduina, quartiere di Roma tutt’altro che degradato, ha un ottimo rapporto con i genitori, che giorno dopo giorno lo spingono ad andare sempre più forte. Sempre più avanti. Mostro è un ragazzo come tutti gli altri, questo è il bello. Come tutti gli altri, ma diverso. Perché ha la stoffa – e il mood – del nuovo Eminem. È quel qualcuno che al rap italiano mancava. Presto per dirlo? Forse, o forse no.

Mostro oggi sarà a Varese Dischi (in Galleria Manzoni, dalle 14) per l’instore in cui presenterà il suo nuovo album “Ogni Maledetto Giorno”. Un album concreto, crudo, con metriche da urlo e un sound interessante e coinvolgente. Insomma, un album fico.

È un disco scritto in un periodo un po’ complicato della mia vita. Si sono sbriciolate alcune situazioni attorno a me che erano dei punti di riferimento, ho detto addio sia sentimentalmente sia lavorativamente a delle persone a cui tenevo. E da qui è nata l’esigenza di questo disco, che è un po’ un urlo, una spinta dal basso per risalire verso la superficie. È un album energico, brutale, aggressivo.

Il rap è un mezzo come un altro per raccontarti, è il genere di cui mi sono innamorato perché lo possono fare tutti. Il rap è musica e la musica è democratica. Non vengo da una situazione stereotipata di ghetto, sono un ragazzo di Roma che, come tutti, ha avuto la sua vita e suoi problemi e il rap è stato il megafono per aprire la mia mente. I cazzi ce li abbiamo tutti, non serve essere nati in un posto difficile.


La paura di non riuscire a far valere ciò che sono. Mi sento perennemente insoddisfatto, delle persone e del lavoro. Voglio sempre di più e con il rap colmo questa insoddisfazione. Il rap è come psicanalisi.

L’approcio alle canzoni. Affronto diversi argomenti con serietà e un po’ di cupezza e cerco di portare il pubblico in un mondo a cui non è abituato. Un posto non fatto di hit e top del momento. Voglio che dopo un brano ci si sieda a pensare. Per questo un approccio crudo e violento: parlo di cose che esistono e che la gente fa finta di non vedere.

Il rap mi ha dato un’identità, un nome. Adesso sono Mostro, un artista. Il rap mi ha dato un’altra vita. E mi ha fatto sentire meno solo. Grazie al rap ma anche ai miei genitori.

Vengo da una famiglia di gente che ha sempre studiato e che ha fatto sempre un percorso di vita tradizionale: scuola, università e lavoro. Mia madre all’inizio era contraria alla mia carriera. Ma in poco tempo le cose sono cambiate. Ora i miei mi danno un supporto incredibile, mi spingono, mi aiutano e sono sempre dalla mia parte.