La Beat Generation si racconta. Da Ferlinghetti fino a Kerouac

Questa sera la cantina di Villa Bossi si riempirà di musica e parole.Un omaggio all’epoca dei sogni scritto da Sarah Collu e Serena Nardi

“…L’universo trattiene il suo respiro / Cé silenzio nell’aria / La vita pulsa ovunque / La cosa chiamata morte non esiste”. Scriveva così Lawrence Ferlinghetti in “Un mucchio di immagini spezzate”. Lui, uno fra i massimi profeti della Beat Generation questa sera, alle ore 21 nell’antica cantina di Villa Bossi (ingresso a euro 10; esenti i minori di 14 anni), sarà in buona compagnia al fianco di Allen Ginsberg, Gregory Corso e Jack Kerouac.

Quelli che camminano sulla stessa cattiva strada, divorano il mondo recitando e fanno di Charlie Parker un eroe-dio mistificato. “Gioventù bruciata”, la definirono in molti. Gioventù senza fine che seppe trasformare, nell’America degli anni Cinquanta, un alito di libertà in uragano.
Sarah Collu e Serena Nardi (che cura la regia di questo omaggio a un’epoca) sono pronte ad attaccare il fiato alle parole. A quell’apnea creativa che tutto confonde: rigurgiti di suoni, frasi rotte, psichedelia acida del racconto.

E musica: quella di Bob Dylan, Velvet Underground, Paul Simon, Pete Seeger, Phil Ochs e Scott McKenzie. Per intenderci folk elettrico, summer of love californiana e hippismo affidati a Giulia Besagni (voce), Guido Zanzi (chitarre), Andrea Perino (basso) e Anthony Pullara (cajon). I poeti della Beat entrano negli anni Sessanta come un treno in corsa.
Con la follia sconosciuta dei versi, il puzzo delle droghe e dell’acool e l’urgenza di essere contro, fuori e oltre. Sensibilità tradita o arte indecifrabile, la Beat Generation anticipa i fatti: il Sessantotto, la contestazione, l’insulto alla tradizione, la sessualità alternativa, il rifiuto delle norme imposte, l’interesse alla conoscenza e alla pratica delle religioni orientali.
Come animali in gabbia senza politica, questi giovani ritrovano loro stessi ri-orientando la loro coscienza negli spazi aperti della sperimentazione. Sono liberi di dover lottare, e soccombere (è questo ciò che è accaduto), sotto le spinte di un potere incontrollabile. Ma oggi, come allora, la Beat Generation ha una sua ragione d’essere nella stessa forza critica che portava Ginsberg a combattere “la polizia segreta, i campi di concentramento, l’oppressione, la schiavitù, la guerra, la morte”.

Molti giovani di questo nostro secolo, inglobato in una crisi economica implacabile, in parte somigliano a loro: «Un gruppo di bambini all’angolo della strada che parlano della fine del mondo», scriveva Kerouac. Contrappunti di voce, urli e schiamazzi, ubriacature tempestate di gloria: Serena Nardi e Sarah Collu non hanno un compito facile: prima di sfidare la poesia, dovranno sfidare loro stesse lasciando a terra le zavorre del pensiero costruito e condiviso. Per volare servono ali di ferro sollevate dall’amore, e nessuno dice sia semplice. Dovranno essere loro stesse l’incarnazione del “beat”, del ritmo e della tensione.
Di un esistenzialismo che riconosce, nella sua breve vita, solo gli ideali che ha deciso di praticare e condividere. Ecco, é questa la strada. Quella che le due attrici – brave e preparate nel dare un nuovo significato alle parole – imboccheranno tra «la poesia e la musica di quell’epoca, fatte per intrecciarsi e sovrapporsi tra loro per intrattenere un dialogo che ancora appare un’utopia, gravido di speranze inutili e desideri insoddisfatti».