Vivere i giorni insieme a Paterson. Senza cellulare, solo grazie alla poesia

Una storia avvincente, nella straordinarietà del quotidiano, al cinema

A Varese il film “Paterson” è arrivato solo questa settimana e per pochi giorni, al Cinema Teatro Nuovo, per chi se lo fosse perso, presto sarà disponibile nella sala di Filmstudio90. Uscito in Italia il 22 dicembre, “Paterson” è l’ultima opera di Jim Jarmusch, un regista che negli anni è diventato sempre più “normocore”. Così indie e insieme pop da incontrare il favore indiscusso di tutti, dalla critica ai pochi-ma-buoni che vanno a vederlo in sala, Jarmusch si porta appresso la nomea di “più indipendente tra i registi indipendenti americani” e questo rende difficile proporlo in pompa magna, anche se ha ricevuto la candidatura per la Palma d’Oro a Cannes 69.

“Paterson” è senza dubbio un film curioso. Non perché sia pieno di mistero o altri elementi intriganti, anzi Jarmusch scava sempre più a fondo nella costruzione cinematografica a intreccio zero, annullando stratagemmi narrativi come il flashback o il fuoricampo, ma perché in questa disarmante linearità ogni dettaglio potrebbe essere decisivo. O forse no. Forse “Paterson” è la trasposizione in immagini del poetico e se «tradurre una poesia è come fare una doccia con l’impermeabile», spiegare “Paterson” è raccontare tutto un altro film, spezzarne la magia.

Il film “Paterson” mette in scena una settimana della vita di Paterson (Adam Driver), autista di autobus urbani non articolati, che vive a Paterson, New Jersey, e scrive poesie senza rime durante le pause dal lavoro. Paterson non ha una sveglia, non ha un cellulare, neanche per le emergenze, non un tablet né un pc. Paterson ha però un taccuino e una penna in tasca, una vasta cultura poetica, un amico che gestisce il bar in cui tutte le sere va a bere una birra e una moglie, Laura (Golshifteh Farahani), adorabile e bellissima, piena di vita e di passioni.

Laura e Paterson si amano. La macchina da presa indugia fino a procurarci invidia sulle loro effusioni mattutine. Da questo punto di vista lo spettatore si immedesima senza dubbio nel cane Marvin, che ringhia ad ogni bacio della coppia. Ma soprattutto Laura e Paterson si rispettano, profondamente. Ed è questo a renderli surreali. In un mondo in cui la frase «se non sei mia non sarai di nessun altro» è tragicamente entrata a far parte del quotidiano, l’amore dei due protagonisti, il loro pudore, è poesia pura. L’arte di “Paterson” è il perfetto complemento del precedente film del regista, il bellissimo “Solo gli amanti sopravvivono”. Lì avevamo l’esclusività, la non-vita o eternità dell’arte, qui l’inclusione, l’empatia, il gemello in cui riconoscersi.

Paterson ha una vita ordinaria e abitudinaria; si sveglia (quasi) sempre alla stessa ora e compie (all’incirca) gli stessi gesti. Laura trascorre la giornata in casa ed è ossessionata dal bianco e nero. Paterson vede gemelli ovunque e ascolta le storie altrui, è un introverso. Laura dipinge, suona e cucina cupcakes, è estroversa. Siamo tutti reclusi, noi, loro i vampiri, ma “Paterson” fa della poesia un’etica, un modo di vivere.

Non c’è tristezza né isteria, non ci sono drammi o tragedie in “Paterson”. Rimane la poesia, che si condivide a parole solo tra poeti. E la vita, che scorre come una cascata e offre sempre una seconda possibilità.n