Il soldato Ghemon cade e poi si rialza. «Mezzanotte? Il cinque alto a me stesso»

Domani, alle 14, il cantante sarà a Varese Dischi per presentare il suo nuovo, incredibile, album

Sulla soglia, in punta di piedi. Permesso, si può? Ad aprire la porta c’è . Con lui anche . Entrambi ti prendono per il bavero della giacca. «Entra». E il viaggio comincia. Dentro casa. Dentro un universo. Dentro la vita dell’artista e dell’uomo. Gli ultimi tre anni riassaporati in quattordici brani, uno – diavolo, sì – più vero dell’altro. Ecco che cosa fa “Mezzanotte”, il nuovo album del cantante di Avellino rilasciato proprio questa mezzanotte (ops). Ti sbatte dentro ad un ascensore, su e giù per gli ultimi 36 mesi di Ghemon e di Gianluca (Picariello, il suo vero nome). Indissolubilmente uniti, oggi più che mai.

Un viaggio musicale, che inizia poco dopo il tour dell’ultimo album ORCHIdee, passa attraverso i dj-set raccontati e arriva fino ai brani di “Mezzanotte” scritti tra gli studi Red Bull di Milano e il campetto da basket. Una scalata sulla ripida parete della vita, in bilico tra gli amori e le delusioni, in equilibrio tra consapevolezze e paure. Sulla vetta, un album bellissimo, diviso tra black music, soul, jazz e un pizzico di funk. Un disco – ancora una volta – interamente suonato, da Ghemon e dalla sua band, le . Un capolavoro, che domani, alle 14 a Varese Dischi, lo stesso Ghemon presenterà ai fan varesini. Finalmente.

Un paio di vite condensate. Accadimenti lavorativi in primis, con un lungo tour insieme alla mia band, tantissime prove, live nei locali piccoli fino al concerto in piazza per il Primo Maggio. Ma poi c’è stata la vita, amici, donne, relazioni. Tante cose che hanno lasciato segni sulla mia pelle, alcuni positivi, altri meno.


Ci sono cose affrontate in modi diversi, con sensazioni diverse. Da qualche parte con rabbia, a volte con malinconia, altre con sarcasmo. Nel brano “È bellissimo” c’è una sorta di consapevolezza che lo stare male fa parte della vita, in “Quassù” invece si sente un senso di serenità. La vita è così, è un ascensore. Quando sei nella melma e senti di affogare e il naso sente un cattivo odore dici “ok, fra un po’ svengo”, poi però capisci che riesci a stare a galla, a nuotare e a tirarti fuori. Questo è positivo. Trovo che “Mezzanotte” sia la realtà di un adulto, il disco di un uomo che deve affrontare la vita, gli ostacoli, la merda e i fiori.


Non avrei saputo scrivere altrimenti. Andavo tutti i giorni in studio e i brani seguivano me e la mia quotidianità. Riportano fedelmente quello che mi capitava. È il giornale di bordo del mio viaggio.


Assolutamente no. Forse il “problema” può essere più per le persone a cui il disco arriva perché so che tanta autoanalisi può dare fastidio. Perché dentro di te smuove inevitabilmente qualcosa. Non pretendo di dare lezioni, anzi. Ma questo è il mio modo di fare musica, ho sempre parlato e cantato di me perché è il mio modo di processare ciò che mi accade. Cantando la mia vita potrei riportare qualcuno in mondi magari chiusi a fatica ma non credo sia sbagliato.


Conto sulla veridicità del mio lavoro, essere spontaneo è la mia formula. Se parlo in maniera fedele di me sono convinto che altre persone nel mondo possano ritrovarsi e capire che passiamo le stesse cose, che non siamo soli, che anche i soldati veri cadono, ma poi si rialzano. Fidatevi.


Assolutamente sì. La risposta del pubblico è fondamentale, sia chiaro, ma per prima cosa scrivo per me stesso. Ora mi sento con la testa fuori dalle nuvole e una parte del corpo ancora sotto: conto di salire un altro po’, un passo alla volta. È dal 2005 che faccio solo questo, penso, vivo, scrivo, scarabocchio. Riportare i pezzi dal vivo e consegnarli alle persone è l’ultima parte del processo che serve a me per togliere il peso.

Beccato (ride). Come detto, scrivo per me e non potrei fare altrimenti. Arrivare alla conclusione di “Mezzanotte” è stato lungo, c’è voluto tanto lavoro anche perché i pezzi creati erano il doppio e venire a capo delle mie idee non è stato facile. Per la fatica, per il sudore e per la soddisfazione e per essere riuscito a rialzarmi dopo le tante cadute ho voluto dedicare questo lavoro prima di tutto a Gianluca Picariello. Mi dovevo dare un cinque alto.


Per motivi tutti miei da musicista sono legato a “Magia Nera”. È un pezzo venuto fuori da un piccolo momento di laboratorio con il bassista, , e uno dei chitarristi, dei Selton. Il ritornello è venuto mentre loro strimpellavano, a fine serata abbiamo bevuto una birra e avevamo il pezzo finito. Sull’album è rimasto tale e quale. È stato solo ricantato e risuonato ma è nato lì, ed è stato bellissimo.

Avevo un concetto di partenza molto chiaro, nato da uno scambio tra me e . Poi è subentrato , il fotografo, che non è solo un ritrattista ma ha una parte artistica di fondo molto forte, e ha fatto degli scatti seguendo la nostra suggestione. Volevo che il mio disco fosse più fisico ed esplicito ma anche “libero”, democratico, e volevo dunque una copertina aperta a interpretazioni.

Oggi come oggi i dischi e tanta dell’arte che viene data a buon mercato sembrano dire “non ti preoccupare, ascoltami anche tu, tanto non c’è niente da capire” quando invece credo sia divertente e stimolante avere qualcosa su cui ragionare e trovare idee, suggestioni, emozioni.

Tantissimo. Fin dal tour di ORCHIdee pensare a turnisti che esistono solo per eseguire non mi apparteneva. Avevo bisogno di una squadra di persone legate umanamente. Loro ci hanno messo entusiasmo per le promesse e le premesse che avevo fatto, ci hanno buttato dentro tanta disponibilità oltre ad un mare di talento, io ci ho messo le cose che ho imparato in questi anni e così siamo andati tutti insieme da una parte.

La consapevolezza che quello che stavo facendo, ciò in cui credevo, potesse essere davvero compreso. Il discorso con i dj-set era un po’ più umano, il pubblico era più contenuto ma vedevo che per loro quel mio racconto aveva un senso, dall’inizio alla fine. Quindi tutto ciò mi ha dato forza, mi ha infuso consapevolezze, certezze, fiducia. Per andare avanti. Per arrivare fino a “Mezzanotte”.

Il mio obiettivo era sentirmi il più libero possibile e non avere timore o paranoia quando facevo qualcosa più di altro. Adesso non voglio essere né solo un cantante né solo un rapper né mezzo e mezzo. Niente etichette. Ghemon è più che sufficiente.


Il tempo di questi ultimi giorni è abbastanza eloquente. Diciamo che dei giorni piove e altri fa caldo. C’è un mezzo ombrello, lo tengo a disposizione per quando serve. So che c’è qualcuno, anzi, più di una persona che quando me lo dimentico, ne tira fuori uno e me lo apre sopra la testa.