In movimento: Scaliamo la salute. In vetta l’endorfina aumenta la felicità. Ma non per tutti

Primo piano - Arriva l’estate e vi diamo qualche consiglio per godervi le escursioni senza brutte sorprese

Un’escursione in montagna, a contatto con la natura stimola la produzione di endorfina e serotonina, i cosiddetti ormoni del benessere che, abbassando lo stress, ci fanno provare quella sensazione di benessere che rende felici. Camminare in alta quota è sicuramente un buon impegno cardiovascolare di endurance che, soprattutto con l’utilizzo dei bastoncini, coinvolge la muscolatura in toto.
Ma ci sono due categorie di persone che devono prestare attenzione al trekking in montagna. «La prima sono i soggetti allergici e/o asmatici – spiega il dottor , specialista in medicina dello sport di Varese – Il rischio di crisi allergiche può aumentare in relazione al periodo ed alla quota, poiché si è maggiormente esposti ai vari allergeni stagionali».

Se poi si considera che l’esposizione avviene durante sforzo e con aria secca e, spesso, fredda, che di per sé sono elementi irritanti per l’albero bronchiale, il rischio aumenta ulteriormente.
«D’altro canto il soggetto allergico agli acari trarrà beneficio dalla permanenza a quote superiori ai 1500 metri, in quanto a queste altitudini nelle nostre montagne gli acari sopravvivono con grande difficoltà anche per la mancanza di quell’umidità di cui hanno bisogno per vivere e riprodursi (diverso è

il caso dell’area tropicale più umida, in cui possono sopravvivere anche al di sopra dei 2000 metri). Si sconsigliano anche quote montane troppo elevate (al di sopra dei 3000-3500 metri) in quanto sembra esserci una maggior tendenza dell’asma a scompensarsi ed una minor tolleranza dei pazienti allo sforzo fisico che si traduce in una maggior tendenza del soggetto asmatico a presentare crisi respiratorie indotte da sforzo (Eia – exercise induced asthma o asma da sforzo)».

La seconda categoria è quella degli ipertesi e/o cardiopatici. «Diversi studi hanno documentato che con l’aumentare della quota aumenta progressivamente e marcatamente la pressione arteriosa».
«Questo incremento avviene immediatamente al raggiungimento dell’alta quota, perdura durante l’esposizione prolungata all’alta quota ed è evidente durante tutto l’arco delle 24 ore, ma con un incremento maggiore nelle ore notturne, con conseguente attenuazione della fisiologica caduta notturna della pressione. La pressione si normalizza una volta ritornati al livello del mare. L’iperteso può frequentare la montagna fino a 3000 metri solo se in terapia ed in uno buon stato di compenso».
«Oltre i 3000 metri ogni caso rappresenta una realtà a sé, e deve essere studiato. Salendo in quota anche la terapia antipertensiva può subire modificazioni, dal momento che la risposta dell’organismo allo stress della quota, allo stress fisico e talvolta emotivo, e al freddo portano ad un incremento della pressione arteriosa».
«È bene limitare l’attività fisica nei primi giorni di soggiorno in montagna ed evitare gli sforzi nelle due ore seguenti i pasti o in condizioni climatiche non buone, ovvero con troppo freddo o troppo caldo».
«Occorre adottare un corretto stile di vita e un’alimentazione sana quali idonee forme di prevenzione, controllando il peso corporeo, evitando il fumo e l’eccesso di alcolici».

«Per i soggetti affetti dalle seguenti patologie: infarto miocardico recente, angina instabile, scompenso cardiaco congestizio, gravi valvulopatie, aritmie ventricolari di grado elevato, cardiopatie congenite cianogene o con ipertensione polmonare, arteriopatie periferiche sintomatiche, ipertensione arteriosa grave o non ben controllata vi è una controindicazione assoluta al raggiungimento di quote medie (1800-3000 metri)».