A Varese un esercito di “invisibili”

Il “Viandante” di via Grandi è l’unico centro diurno integrato cittadino della provincia per i clochard

Nella nostra città, sotto i nostri occhi, avanza quotidianamente un esercito di invisibili. Sono i senzatetto che affollano le panchine, il pronto soccorso, le stazioni, i parchi, i piazzali dei supermercati, che vivono nelle roulotte in campi sportivi abbandonati e che si rifugiano nelle case abbandonate.

A Varese, di giorno, li accoglie, invisibile quanto loro perché non è mai passato sotto i riflettori, il “Viandante”, l’unico centro diurno integrato cittadino e della provincia. «Camminiamo in punta di piedi tra il cuore della gente: questo è il nostro motto» racconta Mariarosa Sabella, presidente della onlus “Camminiamo Insieme” «e abbiamo pensato di aprire questo centro per rispettare il vissuto, le sofferenze, anche le bugie di coloro che riceviamo».

Il 16 novembre il centro di via Grandi ha compiuto un anno di apertura. Mariarosa, 54 anni, con il collega Roberto si è votata a questa causa da anni. «Quello di uno spazio dove i dimenticati dalla società possano stare durante la giornata in maniera serena, per reimparare a prendersi cura di sé, concedersi piccoli spazi, riattivare le relazioni personali positive è un grande bisogno di Varese».

Ma non basta. «A loro, soprattutto, manca la possibilità di essere riconosciuti: l’emergenza più forte, nonostante quello che si pensi o si dica».

Dormono per strada una trentina di persone, tra stranieri e italiani, e passano la vita scandita da appuntamenti tristemente regolari.

«Dagli Angeli Urbani, nove posti letto in tutto, si deve uscire alle otto. Molti, al mattino, si ritrovano in via Walder al Dro-Pin, un ritrovo dove hanno la possibilità di bere un caffè, fare la doccia, fare la lavatrice una volta al mese: non è aperto tutti i giorni. Alle undici vanno alla Brunella a mangiare e poi arrivano da noi. Apriamo alle 11:30: alcuni non stanno qui molto, altri si fermano fino alle 17:30, quando chiudiamo.

Per loro questa vita è la normalità – spiega Mariarosa – ed è assurdo se pensiamo che si parla di persone di circa 35-40 anni, la maggior parte delle quali arriva dalle dipendenze. Sono perlopiù allontanati dalla famiglia d’origine e fra loro ci sono parecchi uomini separati, cacciati dalle mogli dopo aver perso lavoro, e che perdono anche il rapporto con i figli. Per gli stranieri è anche più complicato, perché perdendo il lavoro perdono anche i documenti, e senza di quelli non possono più tornare a lavorare. Tanti di loro non sono riconosciuti da dieci anni».

«Se non sei residente non puoi accedere al dormitorio o alla mensa dei poveri. Certi hanno la residenza senza luce e gas, perché non hanno soldi per permetterseli. C’è gente di cinquant’anni senza lavoro da tre, quattro anni, senza pensione o sussidio. Ho un varesino di sessant’anni con problemi di demenza senile che ha vissuto per otto anni tra panchine e treni: non si ricordava mai degli appuntamenti con i servizi sociali, ora invece lo accompagniamo noi».

Il centro è strutturato su due piani: l’accoglienza, dove gli ospiti possono prendere un caffè e fare merenda e il piano inferiore, con un biliardo e un calcetto. «La fondazione Arca ci garantisce le utenze, mentre per il resto ci districhiamo fra banchetti e mercatini, con un grande aiuto dal Banco Alimentare “Non solo pane” di Giubiano che ci dà pane, pizze e focacce tutti i giorni e a volte anche la frutta. Ha un grande costo la macchina del caffè e cerchiamo finanziatori».

Passano, dal Viandante, dalle settanta alle cento persone, ogni giorno: e d’inverno il numero di coloro che hanno perso fiducia nella vita cresce.

«Il più giovane ha 19 anni, il più anziano 63 – conclude Roberto -. I nostri volontari li stanno riabituando alle regole: avrebbero bisogno di una casa, di personale qualificato che li recuperi. Per ora ci nascondiamo nel ricreativo ascoltando le loro storie di fragilità, cercando di ricavare qualcosa dalla Zuppa della Bontà e dalle marmellate che facciamo». Durante l’intervista la porta si apre cento volte: vanno e vengono cercando un sorriso, un caffè caldo, qualcuno che li saluti chiamandoli con il loro nome.