«Adesso ci dica la verità e non si nasconda più. Perché così non ci aiuta»

È l’accorato appello di Paola Bettoni, madre di Lidia Macchi

«Io mi auguro che questa persona si metta una mano sulla coscienza e dica la verità. È inutile nascondersi dietro al niente. Così facendo non aiuta né me né nessun altro».

È accorato l’appello che , la madre di , rivolge sia all’avvocato che al suo misterioso assistito. Vittorini, che ha asserito di rappresentare il vero autore di In morte di un’amica, la missiva anonima recapitata a casa Macchi il 10 gennaio 1987, giorno delle esequie di Lidia, uccisa con 29 coltellate nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1987 a soli 20 anni, ieri non ha violato il segreto professionale non rivelando il nome di chi asserisce di aver vergato 30 anni l’anonimo.

È l’appello di una mamma che da 30 anni vuole soltanto la verità sull’atroce morte della figlia; un appello che Paola rivolge sia a Vittorini che al suo innominabile assistito: «Fatevi avanti, dite la verità». Il vi prego non è espresso a parole ma è tutto nello sguardo di questa donna delicata dalla fede tenace.

Un appello rafforzato dalle parole di , legale di parte civile per la famiglia Macchi: «A questo punto è fondamentale un atto di coscienza per lui e per la persona che oggi si trova sotto processo con l’accusa di omicidio – ha detto Pizzi – Esca allo scoperto, permetta tutti gli accertamenti necessari. Da Vittorini ci aspettiamo questo».

La famiglia Macchi, negli anni, ha sempre voluto esclusivamente la verità. Non «un colpevole, ma il colpevole – ha più volte detto mamma Paola – voglio uscire da quest’aula senza dubbi sulla morte di mia figlia». E ieri quella donna delicata in poche parole ha dato una lezione morale immensa. Piergiorgio Vittorini, dopo essere stato congedato dalla Corte senza aver detto una parola si è avvicinato alla madre di Lidia, stringendole la mano e dicendole: «Volevo soltanto portarle la mia solidarietà». E Bettoni ha prontamente risposto: «Non è così che si esprime solidarietà».

Il coraggio della verità sarebbe stato più gradito. Pizzi prosegue rivolgendosi a Vittorini: «Noi ci auguriamo che Vittorini cambi idea. Ha la possibilità di tornare in occasione della prossima udienza e dire tutto. Speriamo lo faccia».

Ma qualora «questa speranza vada disattesa – ha proseguito il legale di parte civile – sono pronto, su mandato della famiglia Macchi, a svolgere un’indagine difensiva in altro procedimento. Un indagine difensiva dove l’avvocato Vittorini potrà dire tutto ciò che sa senza le prescrizioni della Corte, che condividiamo in questo frangente, e consegnarmi in forma anonima un campione del Dna del suo assistito al fine di confrontarlo con il Dna estratto dalla busta che conteneva l’anonimo.

E consegnarmi, sempre in forma anonima, un diario, uno scritto, vergato di proprio pugno dal suo assistito nel 1987 in modo da poter comparare quella grafia con quella della missiva In morte di un’amica. Tutto questo in nome di quella verità che la famiglia Macchi attende da 30 anni. Della verità sull’atroce delitto di una ragazza di 20 anni che merita giustizia. Non vogliamo lasciare nulla di intentato. Per Lidia. Vittorini faccia un atto di coscienza e parli. Davvero ci auguriamo di vederlo qui il 27 ottobre pronto a dire tutto. In caso contrario siamo disposti a percorrere ogni possibile via».

«Deve dire la verità – invoca ancora mamma Paola – altrimenti tutto questo non serve. Non serve. E aggiunge soltanto altra sofferenza».