«Cara Varese ci vorrebbe Mario Ossola»

L’intervista - Una passeggiata ai Giardini con Della Porta Raffo per ripercorrere i 200 anni della nostra città

– Io e ci incontriamo all’ingresso di Palazzo Estense. Il sole radioso e la temperatura estiva illuminano i Giardini Estensi rendendoli di una bellezza accecante. Intorno a noi, decine di mamme spingono i loro passeggini lungo i vialetti ghiaiosi di quel magnifico monumento verde, custodito e curato nel dettaglio da una squadra di solerti giardinieri.

Piazza Monte Grappa arrivando da Via Marcobi

Piazza Monte Grappa arrivando da Via Marcobi

(Foto by Varese Press)

Da quando ci conosciamo (e ormai sono parecchi anni), Mauro e la sua cultura enciclopedica, coadiuvata da una memoria invidiabile, non hanno mai smesso di stupirmi. Non a un caso, del resto, alla guida del comitato per i 200 anni di Varese città c’è proprio lui. Motivo in più per intrecciare il clima celebrativo con le dinamiche pre elettorali, strappandolo dalla sua appassionata analisi della competizione americana e chiedendogli di prestare un po’ dei suoi ricordi alla Storia dei nostri sindaci. Perché ad ogni epoca varesina corrisponde il nome di un borgomastro, come dimostra la fitta epigrafe al primo piano del Palazzo.

Il Caffè Pini sotto i portici di Corso Matteotti

Il Caffè Pini sotto i portici di Corso Matteotti

(Foto by Varese Press)

Non c’è dubbio: Mario Ossola. Un medico, un uomo di cultura sconfinata, un vero signore, intuitivo, lungimirante, decisionista e dotato di illustri entrature nazionali: il fratello Rinaldo fu direttore generale della Banca d’Italia. Senza nulla togliere ad altri galantuomini che hanno preceduto e seguito i suoi mandati, credo che nessuno ne abbia mai eguagliato il livello.


Erano anni molto diversi. Per certi aspetti più semplici, per altri più duri. La difficoltà è un concetto relativo: un conto è amministrare una città avendo come nemici la carenza di soldi, le diatribe politiche o i vincoli burocratici. Un altro è ricostruirla da zero, partendo dalle macerie.


Appunto. Prova a immaginare cosa penserebbero delle difficoltà attuali gli amministratori che hanno risollevato una città bombardata e semi distrutta.

Il maestoso ingresso del Grand Hotel Excelsior, oggi Villa Recalcati

Il maestoso ingresso del Grand Hotel Excelsior, oggi Villa Recalcati

(Foto by Varese Press)


Direi proprio di sì. Persone autorevoli, preparate, coraggiose, che si erano formate durante il Ventennio e che, dopo la guerra, hanno afferrato le redini di Varese, guidandola verso il futuro. Di quegli anni, almeno in parte, sono stato testimone, visto che il mio approdo a Varese risale al 1947. Peccato che, qualche anno dopo, sarebbe cominciato il declino.


Sindaci e amministratori degli anni Cinquanta. Quelli che hanno demolito il Teatro, smantellato il tram e così via. Meriterebbero il trattamento di Papa Formoso.


Formoso. Diventò Papa nell’891 e morì nell’896. Il suo nome è associato al macabro Sinodo del cadavere: in pratica, subì un processo postumo per sacrilegio. Considerato colpevole il suo corpo fu riesumato e gettato nel Tevere. Ecco, dovrebbero fare lo stesso con gli amministratori varesini di allora. Con il lago di Varese al posto del fiume capitolino.


Negli anni Sessanta ho diretto l’Azienda Autonoma di Soggiorno. Una bella lezione di rilancio turistico, che ancora oggi bisognerebbe tenere in considerazione. Varese, storicamente, è stata terra di soggiorno, non di vacanza. Ville lussuose e Grand Hotel ne sono ancora testimoni. Certo, i tempi sono cambiati. Ma la vocazione della nostra città è ancora la stessa.


La tensione era palpabile in tutta Italia. Altre città patirono maggiore violenza, ma anche Varese pagò il proprio tributo all’estremismo. Nelle fila delle Brigate Rosse ci sono anche adepti varesini. E io ricordo ancora con angoscia il pestaggio di un professore del Liceo Artistico, avvenuto in quel periodo così difficile. Ma ripeto: quella è una pagina nazionale, non varesina.

Verso il  Sacro Monte:la chiesa dell’Immacolata Concezione

Verso il Sacro Monte:la chiesa dell’Immacolata Concezione

(Foto by Varese Press)


Chiara era piuttosto critico, soprattutto per motivi culturali. Un giorno mi raccontò, sghignazzando, di un sindaco di Varese che non se la cavava molto bene con la lingua italiana. Venne organizzato un incontro tra intellettuali varesini e intellettuali ticinesi. E il primo cittadino salutò i partecipanti dicendosi fiero di quella “masturbazione dei popoli”. Lo sventurato era in buona fede: riteneva quella parola un sinonimo di miscuglio.


Sì, è così. È un problema dei politici in generale, non solo dei sindaci. Ed è un problema che, a mio avviso, affonda le radici in un peccato originale: il professionismo della politica. Vedi, alcuni degli amministratori più illuminati che hanno governato Varese diventavano sindaci o assessori alla fine di una lunga e brillante carriera professionale. Raggiunto l’apice in ciò che sapevano fare, sceglievano di mettersi a disposizione della comunità. Non lo facevano per potere o per soldi, ma per passione. Oggi le cose sono cambiate. Da troppo tempo e per troppe persone la politica è vista come un modo per sistemarsi e questo, nella gente, ingenera non solo sfiducia, ma anche fastidio.

Via Vittorio Veneto con ancora i binari del tram

Via Vittorio Veneto con ancora i binari del tram

(Foto by Varese Press)


Assolutamente. Un tempo i sindaci non venivano eletti direttamente. Gli elettori votavano i consiglieri comunali e questi ultimi indicavano il primo cittadino. Anche gli assessori erano consiglieri eletti. E, comunque, in generale, il livello di coloro che sceglievano di candidarsi era elevatissimo. Qualche nome? Zanzi, Bombaglio, Vaghi.


Spero che la politica culturale torni al centro dell’agenda varesina. Chiunque guiderà Varese dovrà prendere atto di un fatto inequivocabile: e cioè che il rilancio della Cultura porta con sé il rilancio economico. Questa città ha molte risorse e grandi potenzialità: occorre metterle a frutto.